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Con Muti sul podio un Boccanegra da favola

Il capolavoro verdiano al Teatro dell'Opera di Roma: Monti e Napolitano si alzano in piedi per applaudire

Nicoletta Orlandi Posti
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  di Nazzareno Carusi Come appena svegli dopo un sogno d'oro, è impossibile dire tutta la bellezza del Simon Boccanegra alla prima dell'Opera di Roma. La musica l'incarna da un libretto atro (aggettivo che vi ricorre al femminile quattro volte), incardinato da Verdi a un pentagramma che solo vista e cuore di Riccardo Muti potevano svelare tanto sconvolgente.  Il Simone è difficile, Dio se è difficile! Ma non è la micragna monotòna di che sembra, in mano a quegli interpreti che non valgono quanto la fortunata sorte l'ha eletti, e s'atteggiano a grandi senza esserlo né poco né punto. L'orchestra è stata eccezionale, siccome la compagnia di canto. Il timpano e i pizzicati dei violoncelli avevano il battito del lacerato spirito di Fiesco da pena gigantesca; e il differente respiro d'ogni personaggio Muti ha versato in colori tanto innumerevoli da farne un'opera nell'opera. Il mare. Il Maestro aveva detto quanta importanza avesse, nella lezione alla Sapienza dedicata a questa barcarola immane e triste, come Verdi la pensava perché triste è la sua storia. Ci vorrebbero pagine per raccontare la schietta bonomia mutiana coi ragazzi e la grandezza per contro disvelata, al limite della soggezione incussa, a rettore e professori.  Il mare è a Simone, corsaro prima e doge poi, manto di potere, carezza al cuore e pietra sospirata per la tomba. Amelia gli svela il segreto che mi ammanta e lui, il Doge, chiede Oh, Ciel! Chi sei? Poi l'oboe li trafigge con melode soavissima e tiranna. Muti, la sinistra verso sinistra e di solo polso, senz'altro movimento che le volute delle dita a figurare quelle note, sul Dinne... alcun là non vedesti? smorza violini, viole e violoncelli a ognuna delle tre corone che sospendono l'attesa, prima che padre e figlia si scoprano fra loro tali. Non saranno stati tre centimetri di gesto ma c'era, dentro, la folgore dello scoppio in agguato per l'orchestra intera. Più appresso, il dogale Fratricidi! vola alla redenzione di E vo gridando: pace! E vo gridando: amor! Poi ancora, nella solitudine sonora che la coscienza chiede, Amelia invoca pace di salto d'una ottava in fa diesis all'ingiù; lo stesso intervallo chiede l'austero dritto popolar che il Doge deve declamare, in do naturale, con tremenda maestà; e la medesima distanza fra le altezze, stavolta in la bemolle, conformerà l'estrema chiama al padre di Maria (che è la stessa Amelia), a unisono con Gabriele, su violini e viole in sordina e lunghe semibrevi. È il Verdi politico e familiare insieme, che nella distanza perfetta fra le note informa quella perfezione che vorrebbe da Stato e Uomini, e che unica può essere di pace, diritto e giusto sentimento.  In ultimo, quando Simone e Fiesco s'incontrano prima del dispiegarsi a ognuno la tragedia, riecco il mare e il Boccanegra a chiedersi perché in suo grembo non trovai la tomba? Muti cinge i due giganti tirandosi pure su dal podio, con tanta emozione che l'orchestra in buca, alla quale il guardo sulla scena è chiuso, riesce a sentirne per suo tramite tanta la tensione, da suonare molto al di là della commozione e il pianto. Quanto grande fosse il tutto diceva infine l'ultimo pianissimo, di quel colore d'alba che il la bemolle vòlto al maggiore dà. Napolitano e Monti si sono alzati ad applaudire. Ed è stata la miglior cosa abbiano mostrato mai, per l'Italia e il suo immortale onore.   P.S. Un critico seduto ai pressi miei, quando Fiesco nel prologo s'è girato alla Madonna, lui ha preso una collega e ha detto ch'E tu, Vergin, soffristi Rapita a lei la verginal corona? gli gira il pensiero al soffritto. Chissà il giro che l'anima d'Amelia ha sofferto al primo atto, cioè ha sopportato del pensare di sta penna acuta, quando nel Giardino de' Grimaldi, all'aurora, il palazzo a sinistra, di fronte il mare, dice: Solo in tua pompa austera, amor sorride a me! W l'Italia, W Verdi, W Muti. www.nazzarenocarusi.org twitter: @NazzarenoCarusi  

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