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Dj Dado, nostalgia Anni 90: 'Ho fatto la storia della dance, ora non esiste più'

Leonardo Filomeno
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"La mia generazione di produttori è invecchiata. Dopo tanti successi, abbiamo tirato i remi in barca. E i dj oggi non inventano più nulla". Al telefono con Dj Dado, le pause non sono concesse. Nella parlata celere riecheggia il successo che lo travolse. Origini milanesi, classe '67, Flavio D'Addato all'anagrafe, resta tra i personaggi più emblematici della dance anni '90. Prima re (assieme a Robert Miles) del filone dream progressive con X-Files e Metropolis. Poi ancora più in alto nella successiva ondata pop dance con le robuste Coming Back, Give Me Love e Ready Or Not. In mezzo, un'attività incessante come remixer (per Jean Michel Jarre, Boy George, Vasco Rossi, Alexia) e una valigia sempre aperta, vista la grande notorietà oltremanica. I suoi dischi li sentivi ovunque, fino allo sfinimento, per mesi. Il sipario calò nei primi anni 2000, quando dell'entusiasmo e della follia che avevano marchiato a fuoco la dance italica si era ormai persa ogni traccia. "Considero Forever il mio ultimo singolo. Continuai con altre produzioni un po' per inerzia, un po' perché la fama accumulata me lo permetteva".

Oggi invece cosa fai? 

"Continuo a fare le serate, non potrei fare altro. Prima suonavo tanta house, negli ultimi anni propongo la musica che negli anni '90 mi ha reso popolare. La gente non ha dimenticato".

Ogni tanto la voglia di fare musica non ti torna?  

"No, tutto quello che dovevo fare l'ho fatto. E idee nuove non ne ho. Penso che la vita sia come un orologio. La lancetta gira all'infinito, sta a te capire quando è il momento giusto. Preferisco essere ricordato come il mito di X-Files, Coming Back e Give Me Love".

E questo davvero non ti dà noia? 

"Tutti ricordano Al Pacino per Scarface e per essere stato uno dei volti più importanti del cinema anni '80. Dovrebbe offendersi anche lui? Se fai qualcosa che lascia il segno, resta per sempre. La rivalutazione di quel periodo e il fatto che quelle sonorità siano tornate di moda in quanto riprese in tutte le salse, mi consola". 

La storia della musica dance si è veramente fermata a quell'epoca? 

"Come genere, la dance non esiste più. Sono spariti i filoni musicali di riferimento. C'è stato il boom di David Guetta, che adesso sembra essersi dato una calmata. L'unico che tiene botta è Calvin Harris, che però fa pop. Nei locali senti Tinie Tempah o Alvaro Soler: pare di essere alla giostre o in una balera di quarta fascia".

Hai detto: "Il revival di oggi sono gli anni '90". 

"Ci sono meno soldi, la voglia di spendere latita. Operazioni come We Love The 90s dei Datura o Deejay Time Reunion di Albertino stanno riportando la gente in discoteca".

Qual era la percezione che avevi del tuo successo? 

"Ero l'equivalente di un David Guetta o di un Calvin Harris di oggi. Al DopoFestival del '98, Pippo Baudo chiese a Giuseppe, spalla di Albertino a Radio Deejay, chi fosse il dj italiano più famoso Oltralpe e lui fece a Pippo il mio nome. La conferma di essere diventato molto popolare la ebbi al Festivalbar dello stesso anno. Durante la passerella, una ragazza mi staccò la manica della camicia, nonostante fossi circondato dai bodyguard. Sono il dj che ha fatto la storia della dance anni '90. Anche se il capo assoluto di quell'epoca resta Albertino".

Che di X-Files passava una cover davvero brutta. 

"(Sorride, ndr). Non mi conosceva, all'inizio tutti pensavano che fossi un dj tedesco. Quando si resero conto che la mia X-Files era diventata una hit mondiale, mi chiamarono. Fu proprio Alba a propormi un'intervista. Diventammo amici".

La storia di X-Files è travagliata. 

"Mi chiusero la porta in faccia, ci credevo solo io. L'unico che alla fine mi diede una chance fu il compianto Severo Lombardoni della Discomagic. Una sera mi chiamò al telefono: Domani vai a Top Of The Pops. Era il programma musicale inglese più seguito. E io ero finito in quarta posizione nelle classifiche di vendita in Inghilterra, tra gli Oasis e Lionel Richie".

Revenge fu il tuo ultimo singolo strumentale. 

"Coincise con il mio passaggio in Time Records, l'etichetta di Giacomo Maiolini. Gli chiesi di mandarmi a New York, per sviluppare le bozze di quella che sarebbe diventata Coming Back. Mi avevano parlato di una cantate pazzesca, Michelle Weeks. Manco a dirlo, nell'estate '97 facemmo il botto un'altra volta".

Quella di Coming Back fu una svolta soprattutto emozionale, confermata con la toccante Give Me Love. 

"Anche in quella occasione, Michelle Weeks seppe tirare fuori attraverso la voce ciò che aveva dentro in quel momento, ossia il buio della rottura col suo compagno. Mentre registravamo Give Me Love, a un certo punto tolse le scarpe e continuò a cantare. Con le lacrime agli occhi. Fu un gesto di liberazione e nella canzone questo si sente".

Hai sempre avuto al tuo fianco musicisti molto bravi. 

"Su tutti, Roberto Gallo Salsotto. Persone sicuramente importanti, anche se ho sempre saputo camminare solo con le mie gambe".

Ai tempi cosa rendeva l'Italia un paese invincibile? 

"L'unica richiesta che mi faceva Giacomo Maiolini, mio discografico dell'epoca, era quella di ascoltare la demo da solo, in macchina. Se il pezzo lo emozionava, il grosso era fatto, al massimo mi suggeriva delle modifiche. Lo step successivo era l'invio del promo ad Albertino e a Dario Usuelli (altro storico programmatore di Radio Deejay, ndr). Il rischio che si correva era quello di ritrovarsi quella versione come Disco-'o-clock sulla radio più ascoltata e influente d'Italia".

Un rischio che tutti avremmo corso ben volentieri. 

"Potevi dire di avere tra le mani una hit ancora prima dell'uscita. Se Albertino diceva che il brano era una figata, Maiolini lo mandava in stampa all'istante".

A Radio Deejay ci arrivasti comunque. 

"Nel programma Megamix, assieme a Fargetta e Molella. Il mio papà era socio di una piccola radio privata e iniziai lì come speaker. Potevo fregiarmi di aver conquistato l'orario di punta, essendo in una posizione privilegiata. Facevo l'Albertino della situazione, imitavo il mio idolo. Anni dopo, quando lo raccontai ad Alberto, scoppiammo a ridere".
  
Un altro momento irripetibile? 

"La prima volta all'Altromondo Studios di Rimini, il 15 agosto 2000. Da piccolo andavo con i miei in vacanza a Rimini e la sera quella discoteca era la tappa prediletta. Avrei pagato qualsiasi cifra pur di mettere i dischi in quel locale". 

La fan più importante, oggi, è tua figlia. 

"Ha 23 anni, tutti i miei dischi e viene sempre alle serate. Sono separato da tempo, ma con mia moglie sono rimasto in buoni rapporti. Sto bene da solo e sono felice così. Avrò fatto anche io i miei errori, come tutti, ma non mi pento di niente".

Un disco no, ma un libro sì. 

"Non appena troverò un editore e, soprattutto, un narratore che sappia ascoltarmi. Sarà la storia della mia vita, dei miei dischi, dei miei sogni, in larga parte realizzati. Ci saranno le foto con gli amici di oggi e dei tempi. Quelle con Albertino, Marco Galli, Marco Mazzoli, Fargetta, Giacomo Maiolini, i Datura. L'operazione potrà anche non avere successo, ma non mi interessa. Perché sono sicuro che qualcuno quel libro lo comprerà. E lo conserverà sullo scaffale più importante. Quello dove ogni persona ripone i ricordi più belli della propria esistenza".

 

 


 

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