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Ballando con le stelle, la Rai censura Edoardo Vianello: l'ultima follia

Ignazio Stagno
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Il perbenismo impera in tv. Soprattutto sedi mezzo c'è la lingua italiana. Nel corso dell'ultima puntata di Ballando con le Stelle, la manina della censura è intervenuta per aggiustare I Watussi di Edoardo Vianello e "negri", mentre Mughini si esibiva con la compagna di ballo, è diventata "neri". Un omaggio alla retorica del politically correct che pretende pure di stravolgere i testi di canzoni che nulla hanno a che fare con il razzismo. 

In Rai forse si vergognano della parola negri nonostante sia parte integrante di un brano che, uscito nel 1963, è entrato nel Guinnes dei Primati per essere stata cantata 10mila volte dal vivo. D'altronde dalle parti di viale Mazzini quest' anno si eliminano concorrenti per t-shirt con un motto dannunziano e ora si sbianchettano consonanti ossequiando le regole di questa nuova lingua italiana che rinnega se stessa. Ma la "censura" andata in onda a "Ballando" questa volta supera ogni immaginazione, anche quella di chi quel brano l'ha concepito e cantato, Edoardo Vianello. 

Il cantante pensò a questo testo dopo aver visto il film Le miniere di re Salomone. In quella pellicola era centrale la presenza della tribù dei Tutsi, poi diventati Watussi, che sono, insieme a Twa e Hutu, una delle tre etnie di Ruanda e Burundi. E nel film, Umbopa, alto e di bell'aspetto, nativo di quell'Africa inesplorata che torna nel cinema dei primi anni '50, aiuta Allan Qautermain, esperto cacciatore, Elizabeth Curtis e il fratello John Goode nella ricerca del marito. Nel corso del viaggio però Elizabeth e Allan si innamorano.

 

Carlo Rossi, autore del testo, fu folgorato dall'intuizione di Vianello e decise di associare la parola "watussi" a un ballo che spopolava nei primi anni '60, l'hully gully e che già nei primi anni Venti del '900 trovava spazio nei juke joint gestiti da afro-americani. Da qui nacque la canzone che ben interpretava la catena di montaggio dell'industria musicale: melodie semplici incastonate su filastrocche o giochi di parole da ricordare con facilità.

 

Il tutto lasciando fuori dietrologie di stampo razzista. La canzone aveva l'etichetta della Rca, attentissima ai testi e al significato nascosto delle parole. Poi è arrivata la "cancel culture" ad addomesticare lingua, pensiero e ritornelli. A chiudere il caso bastano le parole di Vianello. A chi gli chiedeva se avesse riscritto il testo ha risposto: «No, mi rendo conto della discriminazione verso le persone alte. Ai tempi "negro" era una parola di uso comune senza connotazioni dispregiative: la si usava anche per definire Martin Luther King. Quindi io ce la lascio e canto ancora la canzone così: è storia». 

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