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Donatella Rettore, "non è un serpente ma un pensiero indecente": tutta la verità

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Il padre Sergio, il "kobra" e la "lametta" Donatella Rettore si confessa in una intervista a La Repubblica, a partire dal papà un uomo "genuino e libertario" che "in Jugoslavia fu catturato dai tedeschi e spedito in campo di prigionia. Alla liberazione tornò in Italia a piedi, e si ritrovò a passare per Mauthausen, scoprendo di colpo l’orrore dei lager. Riapparve in paese dopo mesi e non fu riconosciuto: era uno e 80 e pesava 30 chili. I partigiani gli diedero un elenco di ex fascisti su cui potersi vendicare. Lui rispose che voleva solo vivere e lasciar vivere. Ma sa, la nostra famiglia è stata segnata dalla morte. Io, ultima di quattro figli, sono l’unica sopravvissuta al parto".

 

 

Negli anni dei suoi più grandi successi, prosegue la Rettore, l'Italia era "ingessata, retrograda, divisa in conventicole, un Paese dove le donne non venivano considerate. Ma tuttora io sono sempre e solo una cantante, non anche un’autrice di testi, tantomeno una cantautrice. Aver giocato con la mia immagine e la musica ha impedito a molti di capire il senso delle cose che dicevo. A inizio carriera mi chiamavano De Gregori in gonnella: mi infuriavo non certo per Francesco, ma per la gonnella".  Lei invece parlava "anche di identità non binaria, 'uomo o donna senza età, senza sesso crescerà'". Era "a favore delle battaglie per i diritti sociali, da Donatella ero già passata a Rettore, ero androgina".

 

 

 

E il famoso "Kobra" che non è un serpente ma un pensiero indecente, chiarisce: "Non è nemmeno un doppio senso: il senso è unico e chiarissimo. Siamo sempre allo svegliare il Paese. E lo svegliai, con l’idea che fosse una donna a pensare al sesso, e in quel modo. Esposti giudiziari, lamentele di genitori, il sequestro del disco, e infine la censura. Assurda: tagliò solo le parole 'quando amo'. Insomma, sesso e amore come cose diverse". E infine, sull'accusa di istigazione al suicidio spiega: "Certo: cantavo 'dammi una lametta che mi taglio le vene'. A parte che raccontavo, che non è istigare, sfuggivano il nonsense, il gioco di assonanze, il voler ironizzare sulla mania dell’horror, e anche il fatto che la morte fa parte della vita. Se lo capissimo vivremmo assai meglio".

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