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Fabio Fazio, Pietro Senaldi: "Chi ha servito, perché è ora di andarsene"

Pietro Senaldi
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«Belli ciao», Matteo Salvini esulta sui social per l’addio alla Rai di Fabio Fazio e della sua compagnia di giro, Lucianina Litizzetto in testa, dopo più di trent’anni, gli ultimi venti dei quali alla guida di Che tempo che fa. Il comico Luca Bizzarri guida la processione di critiche al leader leghista, sostenendo che «chi festeggia non ha capito nulla, la tv ci guadagna, quella pubblica ci perde».

Chi ha ragione? Certo che Fazio(so) è un maestro, la storia della tv. Ha inventato un format, se lo è fatto strapagare e in genere ha reso più di quel che è costato. Ora che la Meloni è diventata azionista di maggioranza di viale Mazzini, lui, che è un volpone, leva le tende prima che non gli venga rinnovato il contratto con un laconico «è andata così». Troppo esperto per sporcarsi le mani, ci pensano gli altri a polemizzare al posto suo, ricambiando favori e pure marchette che il grande professionista ha reso solo al mondo che rappresenta, quella sinistra privilegiata, con i suoi totem e i suoi dogmi, distante anni luce dall’Italia ordinaria. Un circolino di potere amicale che Fazio(so) ha raccontato come l’unica realtà possibile e accettabile per un Paese civile.

 

 

TELE-AVVENTURA - Da trent’anni, il conduttore è un imponente libero professionista con un unico padrone, stella cometa o musa ispiratrice se preferite: il Pd. La sua tele-avventura lo racconta così. La domenica sera se l’è presa nel 2003, quando governava Berlusconi, su Rai3. Poi, allorché la sinistra andava al governo, con i tempi dati lui veniva promosso su Rai1, per tornare sul terzo canale nei periodi d’opposizione. Ha servito con garbo e costanza la Ditta, senza neppure preoccuparsi di nasconderlo; anzi, la sua bravura è stata che lo ha sempre fatto passare come se fosse il solo modo possibile di fare televisione. I suoi difensori sostengono che Salvini lo abbia attaccato 103 volte. Sarà vero, ma ogni puntata di Fazio(so) è sempre stata un attacco a Salvini, prima a Berlusconi, e ora anche alla Meloni; talvolta subliminale, non di rado esplicito.

Sono due le ragioni principali della migrazione dell’intrattenitore partigiano, nel senso di parte. La prima è che sono cambiati gli avversari e forse l’interessato ha sentito di essere troppo consumato e connotato per reinventarsi un nuovo schema di critica che tenga il passo. La seconda è che la tv pubblica, il suo regno, è sempre stato un feudo della sinistra ex comunista, sia che questa vincesse sia che perdesse. Fazio lo sapeva fin dalla partenza, ha fatto la sua scelta di campo da giovane, forse più per ragioni di carriera che di fede, e non l’ha mai tradita, perché è facile tenere la strada quando la decisione non è di cuore ma di testa. Ora la notizia è che Conte, non la Meloni o Salvini, ha scavalcato i dem nei palinsesti della tv pubblica perché il cambio della guardia nel Pd ha portato alla ribalta una classe dirigente che ancora deve capirci qualcosa. Fazio invece ha capito tutto da tempo; soprattutto che, anziché provare a far digerire al pubblico anche questa sinistra, gli conviene salutarla.

 

 

D’altronde, se non è mai andato dove lo portava il cuore, perché dovrebbe andare dove la Schlein non sa condurlo? Il passaggio nel settore privato, che è comunque garanzia di maggiore libertà per un spirito televisivo, ci dirà quanto gli è restato addosso della classe di cui la natura l’ha dotato in abbondanza e che lui è stato costretto ad annacquare per veleggiare saldo vent’anni, sputazzando a destra e destra e sorvolando su colpe e difetti della sua parte con la leggerezza di una farfalla che sfiora con ironica comprensione i peccati veniali degli amici per ignorare quelli veri.
Si chiama info-tainment, e l’ha praticamente inventato lui. O si dice infi-nocchiament? Un merito, fra i tanti, gli va riconosciuto, perché è il solo che gli altri non gli tributeranno: ha capito quando Saviano aveva sbroccato definitivamente e gli ha dato meno spazio. 

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