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Tg1, altro che "Tele-Meloni": la rivoluzione silenziosa, così Chiocci conquista ascolti

 Gian Marco Chiocci

Francesco Specchia
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Nei telegiornali la “linea d’ombra” conradiana - che preannuncia un’onorata maturità e un discreto coraggio nei cambiamenti - sta in una piccola striscia. Una striscia che, nelle grande mappa dell’audience, colora di blu l’incremento d’ascolti; a dispetto della striscia rossa, la quale si snoda malignamente verso il basso. Di tutti i tiggì italiani, di ’sti tempi, solo il Tg1, i Tg Rai regionali e il TgLa7 possono vantare l’ambita striscia blu.

Ma il caso del notiziario della rete ammiraglia (un veliero affamato d’avventura, come nel libro di Conrad) medita un’analisi a sé, non foss’altro perché il suo direttore è considerato il comandante in capo dell’informazione “meloniana”. Gian Marco Chiocci, l’unico per cui Giorgia s’è veramente spesa, incarna lo stratega di una «rivoluzione culturale» avviata con fini giornalisticamente incontrovertibili, semplici, finanche banali. E cioè: evitare il più possibile veline, “pastoni” e “panini” di scuola democristiana; fare almeno uno scoop alla settimana; puntare prima alla notizia, pur nella tradizione di un tg “istituzionale” dunque filogovernativo.

 

 

Oggi il Tg1 registra il 24.4% di share e 4,6 milioni di spettatori, rispettivamente, più 1,3% e più 207mila al confronto del gennaio 2023. Un’ottima performance, per l’Agcom. Una performance, però giudicata da Repubblica come un calo vistoso nell’ascolto. Sono vere entrambe le interpretazioni dei dati. Sfortunatamente, il quotidiano di Molinari dimentica di specificare che è tutta la tv generalista a registrare un “vistoso calo” nel prime time, nella programmazione all news e negli ascolti dei principali tg nazionali, durante i primi nove mesi dell’anno in riferimento allo stesso periodo del 2022.

Si tenga conto che la grande macchina del Tg1 gonfia le vele sui grandi eventi di cui il 2022 è stato densissimo: il racconto del Covid, la guerra d’Ucraina, l’elezione di Mattarella, l’avvento di Draghi, l’elezione del primo premier donna, la morte della Regina Elisabetta, i Mondiali di calcio. Si tratta d’una sarabanda di accadimenti straordinari e imprevedibili, di cui le telecamere del Tg1 e gli spettatori si nutrirono voracemente. Dal punto di vista del prodotto informativo ne risulta una congiunzione astrale difficilmente ripetibile. Vale ovviamente per tutti i broadcaster. Però, con Chiocci i colleghi di Repubblica hanno omesso la valutazione del contesto. E il mileu, diamine, è essenziale.

In più, qui, Repubblica evita accuratamente di citare la rivoluzione che il direttore del Tg1 sta apparecchiando, con pazienza, in sei mesi di direzione a questa parte, attraverso piccole ma continue scosse telluriche. Cito random. Si è desacralizzatala “messa cantata”, relegando, nell’impaginazione, la politica spesso terza o quarta notizia, privilegiando la cronaca. Ed è normale: Chiocci nasce inchiestista, ma di solito è la politica ad insinuarsi nei gangli del Tg1.

 

Si è osato- provocazione ardita- pubblicare le foto degli ostaggi dei kibbutz spiattellati sui leadwall dietro il conduttore o le immagini di tutte le donne stuprate e uccise in Italia, diventate virali su social e giornali. Il direttore stesso si è cimentato nell’intervista inedita al Papa e in quella stracciascolti (25,4% di share) a Fiorello. Si sono introdotti, in modo possente, i social con 12 milioni di visualizzazioni nel primo mese. Insomma, nel suo primo semestre da televisionista, Chiocci ha raggiunto, cocciutamente, i bersagli. Resta, per l’opposizione, l’idea che il Tg1 sia una «TeleMeloni» pervasiva all’esclusivo servizio dell’esecutivo, che invaderebbe ogni interstizio del notiziario in una lenta e subdola destrutturazione della democrazia. Il che, al di là della legittima percezione politica, è una fesseria sesquipedale. In realtà, al netto della linea editoriale, l’Agcom e l’Osservatorio di Pavia confermano le parole pronunciate dalla premier in conferenza stampa: «Se l’opposizione di centrodestra era letteralmente scomparsa dai tg dell’epoca Renzi, Conte e Draghi, oggi Pd e Cinquestelle hanno pari dignità percentuale quanto a presenza in video sul Tg1».

TEMPO D’ANTENNA - Ora, nel conteggio implacabile dei cosiddetti “tempo di parola” e “tempo di notizia” (sommati, attestano il famigerato “tempo d’antenna”), be’, ci si avvicina come mai prima alla perfetta parità informativa richiesta dall’Agcom: 30% maggioranza, 30% opposizione, 30% governo «quando col governo gialloverde si raggiunsero picchi filogovernativi del 60%, con Draghi del 50». Ora, nel gioco delle parti, gli attacchi sono legittimi e all’ordine del giorno. Mala “linea d’ombra” il limite di maturazione unito ad un sentore d’onestà, dovrebbe valere per tutti: politici, comandanti di brigantino, perfino giornalisti...  

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