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Venezia 81, il bilancio della mostra lo conferma: mancano storie italiane

Luca Beatrice
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Qual è il reale stato di salute del cinema italiano dopo la kermesse veneziana? Convalescente, non guarito. L’anno scorso, mostra numero 80, era andata decisamente meglio con il trionfo di Io capitano, e successivo Oscar sfiorato, le polemiche per Comandante, scambiato per un film fascista e almeno se ne parlò tanto, le buone prove di Pietro Castellitto da regista e di Stefano Sollima, nonché il ritorno di Liliana Cavani, Leone d’oro alla carriera.

2024 decisamente meno brillante, perché non si può pensare di raccontare sempre il passato, dalle guerre mondiali agli anni ’80, né che la mafia continui a ispirare come al tempo del cinema di impegno, dei Rosi e dei Petri per intenderci. In tale paesaggio sotto la sufficienza è naturale che emerga Vermiglio, se si resiste a due ore di dialetto trentino stretto: intanto è un lavoro di una quasi esordiente dunque incuriosisce, ha indubbio afflato poetico e cresce alla distanza. Però siamo sempre all’effetto vintage, la fine del secondo conflitto, la comunità chiusa alle prese con lo straniero, l’estraneo.

 

 

 

La regista Maura Delpero ha scelto per il ruolo di protagonista Martina Scrinzi, tipologia fisica ed espressiva che ricorda molto Alba Rohrwacher, divenuta un archetipo per le giovani attrici italiane lontane dal vecchio modello prorompente e sensuale che si diffuse anche durante il neorealismo. Proprio in queste due parole si può individuare la “crisetta” del cinema italiano oggi. La matrice neorealista è troppo dominante, va bene che quella scuola insegnò l’arte al mondo intero, però allora c’era l’urgenza vera e gli autori si chiamavano Rossellini, Visconti, De Sica e il primo Fellini.

La sola realtà, insomma, non basta, serve inventare storie nuove, altri mondi, visioni oltre la vita quotidiana e, appunto, la rievocazione del passato. Se mancano Paolo Sorrentino e, non sempre, Matteo Garrone, considerando Luca Guadagnino regista americano a tutti gli effetti, la rappresentativa tricolore entra in sofferenza, meno di quella di Spalletti agli Europei, però competere ai livelli alti è altra storia. Si dice: il cinema italiano è pieno di bravi attori. Servillo, Germano, Gifuni, Castellitto, Borghi erano a Venezia. Meno di brave attrici, ancora schiacciate dal “mattatorialismo” maschile discendente dalla commedia. Sapendo che il pubblico li va a vedere perché si sente in qualche modo garantito, registi e sceneggiatori investono meno sulle storie, tanto il successo si regge sul personaggio. Come a teatro, ma c’è bisogno d’altro: lavorare invece di sindacalizzare, che di buoni film italiani se ne vedono pochi.

 

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