Omar Pedrini si racconta: "Per il Brescia presi le botte"

di Lorenzo Cafarchiogiovedì 24 luglio 2025
Omar Pedrini si racconta: "Per il Brescia presi le botte"
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Generazione senza vento. Quante volte lo abbiamo sentito. Più passano gli anni e più le critiche si acuiscono contro quelli che sono lì da venire. Ma non ci interessa la polemica, ci interessa la generazione quella cantata dai Timoria e interpretata dal suo volto e voce Omar Pedrini. Per una volta la musica resta sullo sfondo perché le parole la fanno da padrone. E quelle che vogliamo riguarda Brescia e la sua squadra. Le rondinelle passione di una vita per Pedrini. «Una priorità. Amore puro come quello perla mamma». Lo raggiungiamo in Val di Chiana dove nella sua tenuta è rocker-contadino tra olio, bruschette e bistecche. “Slowlife”, il suo verbo eppure di corse ce ne sono state.

Partiamo dall’infanzia.Prima del musicista che ragazzo era Omar Pedrini?
«Vengo dal quartiere periferico bresciano di Urago Mella. Quello dell’Iveco, un luogo operaio oggi divenuto multiculturale. La massima aspirazione era fare l’ultras, diciamo che la zona è ad alta densità di tifosi e qui sono nati i fratelli Filippini colonne del Brescia in campo».

Lei è del ’67. Quindi ha calcato i gradoni degli stadi tra gli anni ’80 e ’90. Cosa vuol dire per lei essere ultras?
«Oggi pratico la non violenza, ma non rinnego il mio passato. Sono stati anni mitologici e diciamolo- ride, ndr- qualche episodio non dialogante c’è stato».

Tipo?
«Le trasferte. Mi ricordo anche due fermi della polizia, uno a Como. Quello che mi piaceva era andare a sud. Lo confesso mi è successo di partecipare a scontri tra tifosi. A 20 anni ero da prima fila, il sentimento per la squadra ha guidato la mia gioventù e sono stato anche sulla camionetta della celere. Capitava che le prendevi e in silenzio le portavi a casa. Fino al 1993-1994 sono stato uno scalmanato».

Ma come a quell’epoca i Timoria erano già una band affermata...
«Ricordo a Pavia. Un concerto coi Noir Désir, in Italia loro aprivano i nostri concerti e in Francia noi i loro. Arrivo sul palco dopo Brescia-Bologna con la schiena massacrata dagli scontri. Ma non sono io che cercavo i tafferugli erano loro che cercavano me. Quel giorno ricordo il coraggio dei bolognesi».

I componenti del suo gruppo non le dicevano niente?
«Il mio bassista, proprio quella sera, davanti a 5mila persone mi disse: “Ma chi te lo fa fare?».

Poi?
«Oggi frequento i buddisti. Ho Gesù Cristo nel cuore. Lui ha portato l’uguaglianza tra i popoli e adesso la spiritualità mi tiene lontano dalla violenza. Alle Iene, una volta, mi chiesero se bestemmiavo. Ho risposto “solo quando gioca il Brescia”».

Gli ultimi anni, a livello di squadra, non hanno regalato usiamo un eufemismo parecchie gioie. Ultima in ordine di tempo la retrocessione in serie C e la scomparsa assieme a Cellino del simbolo del Brescia...
«Viene fuori la mia anima arnaldina. Ho fatto il liceo Arnaldo da Brescia e li ho formato il mio carattere anarchico. Lo dico perché voglio dare la dimensione del bresciano. Con Cellino, essendo lui sardo e io avendo a Cagliari il mio fan club più grande, mi sono proposto di fargli da Virgilio in città. È grande appassionato di rock e l’ho inviato a suonare in sala prove, ma veniva poco a Brescia e quello è l’origine del problema con lui. Non è entrato in contatto con la città. Partito bene, con la promozione in A, poi la catastrofe”.

Ora invece l’Union Brescia, ripartirà dalla C, di Pasini uno degli imprenditori dell’acciaio più importanti d’Europa. Cosa ne pensa?
“Ogni giorno arriva una notizia nuova. C’è chi seguirà questa squadra, chi vuole ripartire dall’Eccellenza. Pasini mi ha sorpreso, da ultras abbiamo sempre chiesto agli imprenditori locali di investire nella squadra, ma nulla. Il bresciano ricco è quello che la domenica va a fare l’aperitivo in centro con la Panda e usala Ferrari per andare a Montecarlo. Non mi piace il fatto di aver “ucciso” la squadra di Salò di cui Pasini era presidente. I miei amici gardesani si lamentano e quelli del mio gruppo, Vecchi Leoni, si sono defilati. Ma sono sicuro non ci sia stata cattiva fede, solo che i sostenitori dovevano in qualche modo essere coinvolti”.

Il comune è intervenuto nell’operazione...
«Sono in polemica aperta con la sindaca Castelletti. Anche se questa volta le devo dire brava per aver radunato la crema dell’imprenditoria bresciana».

Come mai questa diatriba?
«Sono rimasto scottato dalla gestione, nel 2023, di Brescia-Bergamo capitali italiane della cultura. Sono 15 anni che Laura Castelletti gestisce la cultura in città. Una situazione stagnante, senza ambizione. Anch’io sono stato messo in un angolo. Basta vedere com’è stato dimenticato il 25ennale del Brescia Music Art che ho ideato e diretto. Infine il suo “cerchio magico” mi ha attaccato via social. Quindi come un bonzo buddhista ho deciso che non suonerò più nella mia città fino a quando lei sarà sindaca».

Torniamo al tifo. Una passione direi, quantomeno, viscerale...
«Una fede esasperata. Sono rimasto spiazzato quando mia figlia, nata a Milano, mi ha confidato di cambiare squadra per l’Inter. Mi ricordo di quando sulle gambe di mio padre vedevo, da bambino, il Brescia e la rondine sul petto mi dava la sensazione che quella squadra potesse volare. La maglia blu con la v bianca. La più bella del mondo. Lì ricordo tutti i calciatori da Egidio Salvi a Beccalossi, passando per Pirlo, Baggio e Hübner. Il Brescia dei romeni e del mio amico Corioni che senza soldi ha fatto mille miracoli».

Ora cosa deve fare questa nuova compagine?
«Non voglio giudicare prima, aspetto che mi conquisti. Voglio innamorarmi nuovamente. Ricordo con Mirko, il megafonista della curva nord bresciana, quando siamo andati a Monza per i playoff della serie B, valevoli per la A, in pieno Covid e abbiamo sbirciato da fuori la partita come dei sciuscià. Porto nel cuore la finale di Intertoto con il PSG e la serie C».

Lei che ha lavorato con Noel Gallagher, Lawrence Ferlinghetti e decine di altri artisti internazionali cosa pensa di Diodato il quale ha detto che solo gli artisti di sinistra comprendono gli ultimi?
«Sono d’accordo con lui, anche se tanti intellettuali di destra non sono stati considerati proprio perla loro appartenenza politica. In Italia siamo da sempre guelfi contro ghibellini. La frase di Diodato però è stata un po’ snob. Da anarchico, il mio maestro rimane Gino Veronelli, dico citando gli studenti triestini “meno politica nella cultura e più cultura nella politica».

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