Celebrare Pippo Baudo diventa ora elegia delle virtù democristiane, nostalgia dell’Italia in bianco e nero, non avvelenata da passioni ideologiche, l’Italia familista dello show del sabato sera, l’Italia di Carosello e delle vallette. Ecco che attraverso l’icona Baudo si torna al trionfalismo scudocrociato, senza nominare i Forlani e gli Andreotti per carità, ma il talentuoso showman cui il divo Giulio avrebbe detto: «Lei è più democristiano di me» consigliandogli poi, come racconta Luigi Bisignani, di smetterla con quei capelli rossicci per virare su un bianco più naturale e austero. La Dc, l’odiato partito-Stato disprezzato dalla gioventù mobilitata a destra e a sinistra negli anni Settanta, diviene così cifra di quella visione del mondo nazionalpopolare capace di fare sintesi tra cultura alta e cultura bassa o di massa. Concetti non a caso utilizzati da quello stesso Umberto Eco che denigrò un altro personaggio televisivo molto amato, Mike Bongiorno, accusandolo di essere rappresentante dell’italiano medio e mediocre. Certi vezzi la sinistra li esibiva volentieri, come nella famosa battuta di Nanni Moretti: «Ve lo meritate Alberto Sordi». Mike Bongiorno, Alberto Sordi, Pippo Baudo: personaggi entrati nei cuori dei borghesi piccoli piccoli che furono la maggioranza del Bel Paese a dispetto di minoranze spocchiose e elitarie. Erano gli idoli di un’Italia forse mediocre ma sicuramente perbene, centrista in quanto tendenzialmente conservatrice ma democristiana solo perché battezzava i figli e faceva gran festa per le loro prime comunioni.
Terrorizzata dal marxismo ma anche succube della retorica sulla destra golpista. Ed era sempre la Dc a dirigere questo teatrino, ma non certo Pippo Baudo. Celebrare quel tempo attraverso di lui è possibile solo se la politica si mischia col costume e con l’antropologia. Solo se il centro diviene il luogo dove si offre lo spettacolo dell’inclusione leggera, effervescente, priva di pesantezza dottrinaria. Pippo Baudo non portò forse a Domenica In una soubrette che si chiamava Alessandra Mussolini sdoganando un cognome ingombrante? «Baudo - commenta infatti Pierferdinando Casini- ha lanciato persone di tutti gli orientamenti politici proprio a dimostrazione di quello che era la Dc. Lo specchio del Paese». Per Andrea Minuz addirittura Baudo fu interprete consapevole di una controegemonia culturale: «Mentre i comunisti - ha scritto sul Foglio- avevano la cultura alta einaudiana, il cinema civile, gli scrittori impegnati, i democristiani tenevano il punto sul sabato sera e tanto bastava: avevano capito che era lì, nel salotto di casa, che si svolgeva la vera battaglia culturale. Baudo rassicurava gli italiani mentre esplodevano le contestazioni...».
Tuttavia è bene intendersi, a questo punto, su quale sia l’Italia di cui avere nostalgia attraverso Pippo Baudo, su quale sia la Rai che il baudismo ha incarnato al meglio. Di sicuro la Rai pedagogica di Bernabei, quella dove Baudo esordì nel 1966 con Settevoci. Così come di sicuro il Baudo demitiano, che lancia Beppe Grillo per colpire Craxi, non è certo simbolo di un’Italia da rimpiangere. Differente la prospettiva se si guarda alle famiglie italiane degli anni Sessanta, quelle che assaporavano i primi frutti della rinascita economica, e che avevano come modello ispiratore la triade Dio-Patria-Famiglia e poi mettevano la croce sullo Scudocrociato sognando il posto fisso per figli e nipoti. Ma la mettevano anche altrove, la croce, e di certo mai sul simbolo del Pci. Parliamo di un’Italia reale e non immaginaria, quella che fece dire a Veltroni sconfitto da Berlusconi: «L’Italia non è mai stato un paese di sinistra, l’Italia è un paese di destra». Fatta da gente che sapeva riconoscere e applaudire i talenti, per poi salutarli con l’affetto che meritavano e che meritano per le risate e la spensieratezza regalati senza mai mettersi in cattedra, personaggi simbolo di italianità ben oltre i nostalgismi da Prima Repubblica.