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Fabio Fazio, tutte le domande che non ha fatto a Beppe Grillo. E anche gli "amici" lo bastonano

Andrea Tempestini
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Un merito da riconoscere a Fabio Fazio è quello di aver elevato il genere dell’intervista senza domande a format tv di successo. Il non plus ultra è stato il soliloquio di Beppe Grillo domenica sera, valso a Nove il record storico in termini di share: Che tempo che fa segna il 12,1%. Tanta roba con zero domande, appunto. Beninteso, non siamo solo noi quelli cattivi: Fazio è stato colpito anche da fuoco amico. Prendi Massimo Giannini, il cui giudizio è drastico: «Uno show, più che un’intervista, pieno di confusione e per mischiare le carte», sosteneva nel podcast Circo Massimo. «Avendo ascoltato questa fluviale non-intervista dell’Elevato mi viene in mente un vecchio film di Ugo Tognazzi che si chiamava La tragedia di un uomo ridicolo. Non saprei definirlo diversamente». Il bersaglio grosso è il guitto ligure, ma quel «non-intervista» buttato lì, en passant, è una sentenza.

Fazio, come già fece in passato, potrebbe ribattere spiegando che «ognuno fa il mestiere com’è capace». Panorama lo definì «paladino del buonismo» e lui rispose: «Io tengo sempre presente una cosa: chi è seduto davanti a me non lo conosco e mi domando quindi se in quei 20 minuti ho il diritto di fargli male». Per carità, scelga lui se ferire o meno. Ma qualche domanda vera, sei hai davanti un politico quale Grillo nostro malgrado è, sarebbe giusto porla. Esempi: sul fantomatico “campo largo”, il giorno successivo alla calata di Conte in piazza al fianco della Schlein, si poteva pur ragionare. Oppure Israele e Hamas: con chi sta, signor Grillo? Che ne pensa degli show di Di Battista in tv? Se lo ricorda Dibba? Poi la Cina: perché le piace tanto? Infine: perché incassa ancora la bellezza di 300mila euro dal M5s per «progetti comunicativi» anche se questo M5s, per sua stessa ammissione, non è poi gran cosa?

 

E invece nisba. Abbiamo subito «un esaltato monologo», per dirla con le parole di Panarari su La Stampa, altro fuoco amico. «Un repertorio sovreccitato, saltando di palo in frasca». Fino al punto in cui Grillo si fa le domande da solo: Giulia Bongiorno? «Fa i comizietti davanti ai tribunali, dove magari si tiene un processo a porte chiuse, questo è sbagliato e inopportuno». Attacco sgangherato, certo. Ma Fazio che fa? Ferma tutto, non sia mai: «È inopportuno parlare qui di questa storia». Insomma: prosegua pure nel suo delirante monologo, ma lasci stare le cose serie.

 

Per dirla con le parole di Aldo Grasso, «davvero una pagina non esaltante di tv, un goffo tentativo di ridare cittadinanza mediale a un signore che con gli sberleffi, la furia giustizialista, l’imbroglio politico mascherato da millenarismo pop e con una concezione della democrazia radicale (uno vale uno) ha recato al Paese danni enormi». Il punto, per Grasso, è che «forse Fazio voleva sdoganare Grillo e dimostrare la propria indipendenza (a chi? Alla Rai?), ma ha fatto un favore non da poco all’attuale governo mostrando di che pasta è fatta l’opposizione». Ovvero, il nulla. «Un’ora di autoassoluzione, di banalità politiche spacciate come show», conclude il critico televisivo. E la parola chiave è «autoassoluzione»: ha fatto tutto Beppe.

Persino l’unica verità snocciolata dall’Elevato – «Ho peggiorato questo Paese» – non è figlia di una domanda: Fazio la subisce passivamente, ben attento a modulare le sfumature del sorrisetto sempre stampato in faccia. Però gli va dato atto di rendersene conto. Grillo lascia lo studio e Fazio candidamente ammette: «Ho le domande intatte». Tautologico. Già, perché le domande di Fabio Fazio restano sempre «intatte».

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