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L'Inter si smarrisce nelle partitissime, un'annata sotto le attese: i nerazzurri vincono solo due big match

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Tommaso Lorenzini
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 Il 2020 dell'Inter è un'altalena ma il volo al momento non porta lontano, di divertimento se ne vede poco, sia per chi sta a guardare sia per c'è seduto sopra e si affanna a darsi lo slancio,a puntare in alto. Al netto del Coronavirus che in questo momento obbliga a rimandare i giudizi definitivi, la squadra di Antonio Conte si candida al titolo di grande incompiuta dell'anno. Ad oggi, 15 giugno, rigettiamo in toto la parola "fallimento", sarebbe sciocca e ingenerosa. "Delusione", probabilmente, dipinge al meglio questo affresco che era stato iniziato bene ma poi, in corso d'opera, ha visto moltiplicarsi le pennellate storte e spuntare sfumature imprecise, col risultato che la visione d'insieme adesso si è appannata. La chiarezza del disegno e delle idee di Conte resiste, è la messa in pratica che accusa pause deficitarie: tarpati gli esterni, allontanati dalla porta Lukaku e Lautaro, gran parte del potenziale si annacqua. Antonio è stato preso per colmare il gap con la Juventus, assecondandone al più possibile e compatibilmente con i conti le richieste di mercato, vedi l'arrivo di Lukaku per 65 milioni, vedi la richiesta mai evasa di un centrocampista incursore (Vidal) che è poi diventato Eriksen (mentre Godin potrebbe partire già a fine giugno). Il danese è il colpo a sensazione del mercato di gennaio, applausi, ma la sua sbocciatura è ritardata, come quella di un bocciolo di rosa che lascia intravedere setosi petali ma di aprirsi ancora non ne vuole sapere.

 

 

IL PIù PAGATO
È un po' la metafora dell'avventura di Conte: come servirà altro tempo per capire se davvero Eriksen è il fuoriclasse che può fare la differenza per i nerazzurri, così è plausibile che all'ex ct servirà almeno un'altra annata per mettersi al tavolo con la Juve, nonostante che le banconote a sua disposizione fra mercato e stipendio (11 milioni annui, il più pagato di serie A) siano quelle giuste. Tredici partite da giocare in serie A (dodici più il recupero di domenica prossima) autorizzano ovviamente i tifosi a sognare un ribaltone clamoroso ai danni di Juve e Lazio, c'è anche una Europa League tutta da giocare e l'ambizione di poter provare ad arrivare in fondo è più che ragionevole. Il bilancio attuale di Antonio è però oggettivamente negativo: fuori dalla Champions League al primo turno, fuori malamente dalla Coppa Italia in semifinale, eliminato da un Napoli che superiore non è apparso se non nel cinismo, nel cogliere l'attimo. Ed è qui la malattia di questa Inter contiana. Dei dodici big match disputati in stagione (quelli da dentro o fuori, reali o oggettivamente tali), ne sono stati vinti solamente due: quello con la Lazio, grazie al gol di D'Ambrosio, quello in casa con il Borussia Dortmund. Il resto sono sette sconfitte e tre pareggi. Nel caso dei tanti ko, difficilmente l'Inter ha sbagliato partita, tuttavia ha dimostrato di essere inferiore: a Barcellona aveva illuso e perdere può starci; a Dortmund non ha giocato il secondo tempo; con la Juve in casa ha perso perché ha provato a vincere; con la Lazio a Roma ha subito una rimonta figlia del momento di grazia dei biancocelesti e delle incertezze di Padelli in porta (Handanovic infortunato). È però nei tre pareggi la cartina di tornasole: contro Roma e Atalanta in campionato era il momento del salto di qualità e di mentalità che non c'è stato, in quel caso così come altre volte contro il Lecce e il Cagliari, quando obbligatorio era vincere per poter reclamare un posto nella lotta scudetto. Che fine ha fatto lo spirito, l'ardore, la rabbia di Conte? Adesso a preoccupare c'è pure il latitante Lautaro, sballotatato qua e là a Napoli. Non segna dal 26 gennaio, un mese e mezzo prima dello stop, l'affaire di mercato col Barcellona è una distrazione velenosa e recuperare lui e l'intesa con Lukaku (39 gol in due) marcherà la differenza per il finale di stagione nerazzurro. Fra delusione e fallimento, la distanza è breve, per qualcuno sono sinonimi. 

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