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Mondiali 2026, l'obiettivo? Cambiare: fuori i "vecchi" per salvare i giovani

Claudio Savelli
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La Nazionale ospita tre generazioni, nessuna delle quali ha vissuto un Mondiale da protagonista. È la cartina tornasole di un fallimento che va ben oltre Roberto Mancini. Il movimento italiano è incapace di pensare al dopodomani. Vuole vincere domani e a volte ci riesce, così trasforma quelle vittorie nell'illusione di un progetto. Ora serve intervenire sia in profondità, rifondando il modo di considerare e allenare i giovani, sia in superficie, valutando la rosa a disposizione e scegliendo con massima attenzione da chi ripartire. Serve evitare due errori commessi di recente. Il primo: eliminare la riconoscenza, ad esempio quella che Mancini ha avuto verso i campioni d'Europa. Il secondo: pensare al Mondiale 2026, non all'Europeo 2024, quindi all'età che gli azzurri avranno tra quattro anni e non tra due. Per salvare, o sarebbe meglio dire "valorizzare", i giovani è necessario "eliminare" i più esperti. Ovvero, come minimo, quei sette giocatori dei 33 attualmente impegnati nell'inutile trasferta in Turchia che hanno già almeno trent' anni. Trattasi della generazione già al tramonto oggi di Chiellini, Bonucci, Sirigu e Acerbi, che avranno dai 38 ai 41 anni nel 2016. Una generazione sprecata nelle pessime edizioni dei Mondiali 2010 e 2014. Sia Mancini o un altro ct, grazie e arrivederci fin da subito, fin dalla Nations League di giugno.

 

 

RUSSIA E QATAR
La generazione di mezzo è invece quella dei due mondiali mancati di Russia 2018 e di Qatar 2022. Sono i Florenzi, i Jorginho, gli Insigne e gli Immobile, che se anche sono stati convocati in Brasile 2014 erano comparse, e che ai Mondiali nel 2026 avranno dai 34 ai 36 anni. Si può ragionare su Jorginho, che per ruolo e status (ha vinto in Europa) può reggere il prossimo quadriennio ai massimi livelli, non sugli altri. Idem per Verratti, confine della valutazione: 29enne oggi e 33enne alla prossima Coppa del Mondo, dovrebbe essere eletto a leader fin da subito. Visto che l'Italia non ha giocatori con presenze ai massimi livelli, tenere uno dei pochi che ne ha accumulate (72 apparizioni in Champions finora) è doveroso, a patto che sia l'eccezione che conferma la regola. Segue la generazione che oggi va dai 26 ai 29 anni, quella degli incompiuti. Sono tutti giocatori di livello inferiore rispetto a quello promesso da giovani.

 

 

I vari Emerson, Biraghi, De Sciglio, ma anche Cristante, Berardi, Politano, Belotti, non hanno mai giocato in una grande oppure in una grande si sono rivelati di secondo piano. Piuttosto che convocarli come "usato sicuro", vezzo tutto italiano, è meglio usare i minuti a disposizione per velocizzare la crescita della generazione successiva. Quella che va da Pellegrini e Barella, 26-25enni oggi e 30-29enni nel 2026, in giù. Quella che abbraccia anche Locatelli, Tonali, Pessina, Mancini e Bastoni, tutti nomi che, si badi bene, giocano nelle grandi italiane. Ecco il nucleo da cui ripartire. Ma che siano titolari inamovibili e modello per il gruppo successivo, su cui si è già in ritardo. Sia lodato il Sassuolo che protegge e svezza giocatori - ce ne fossero altri in A, al posto di quei club che puntano sull'esperienza per salvarsi-, ma Raspadori e Scamacca, per dire, devono al più presto fare il salto e giocare partite di massimo livello. Questo perché a 22 e 23 anni si è giovani solo in Italia per via di una mentalità distorta: Pedri e Gavi, 19 e 17 anni, sono già colonne portanti del Barcellona e della Spagna. Fenomeni? Certo, ma anche il 19enne Yeremy Pino ha battuto la Juve in Champions con il Villarreal, per dire. È il percorso che aveva iniziato Zaniolo prima degli infortuni. Serve ripristinarlo, sgomberando il campo dall'esperienza e lasciando che i giovani la accumulino. Altrimenti il 2026 sarà identico al 2022, al 2018, al 2014 e al 2010. 

 

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