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Simone Inzaghi, così ha aggiustato l'Inter in cinque mosse

Claudio Savelli
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A Barcellona, Simone Inzaghi si è trattenuto. Forse era esausto per via della tensione nello stressante Camp Nou, forse era rammaricato per la mancata vittoria o forse, più semplicemente, sta diventando un allenatore da top-team. Uno di quelli che passa alla cassa una volta raggiunto il risultato, non prima. Uno che non si accontenta perché non può. Uno che vuole dimostrare di aver molto da offrire, più che da imparare.

 

 

 

Per varie ragioni - la pressione, le voci di esonero, l'importanza della doppia sfida al Barcellona, l'assenza di due perni come Brozovic e Lukaku, l'appannamento di molti giocatori - era il momento più difficile della sua avventura nerazzurra. Inzaghi ha reagito. Come? Con cinque mosse dettate po' dalle contingenze e un po' dall'intuito, ma questo importa poco. Contano i risultati e il mister li sta recuperando, dopo un inizio sportivamente drammatico. La prima mossa è stata anche quella per lui più dolorosa: promuovere Onana titolare, sacrificando capitan Handanovic a riserva. Inzaghi ci è arrivato in ritardo considerando le prestazioni dello sloveno ma ha pensato di dover testare il camerunese dopo due anni di sostanziale inattività. Ha sacrificato qualche punto, ha rischiato il posto, ma ora si ritrova con un portiere che, oltre a parare, infonde positività e sicurezza al gruppo e ai tifosi, prima incupiti.

COINCIDENZA FORTUNATA

La seconda mossa è conseguente: il capitano è diventato Skriniar per numero di presenze, in assenza di Brozovic (secondo) e D'Ambrosio (terzo). Una coincidenza fortunata perché ha responsabilizzato un giocatore in netto calo di prestazioni dopo un'estate alla finestra del mercato e in piena crisi da rinnovo. Capitano è stato per qualche minuto con il Sassuolo anche Lautaro, che non è mai stato messo in discussione da Inzaghi. Ecco la terza mossa: il Toro al centro del campo e del progetto, a prescindere dall'astinenza di gol (durata 8 partite) e dai piccoli acciacchi (come quello di settimana scorsa). Dalla sfida alla Cremonese del 30 agosto, quella dell'ultima rete prima del Camp Nou, Lautaro ha sempre giocato titolare per 90', tranne contro il Viktoria Plzen. Inzaghi non l'ha mai sostituito, come capitava spessissimo lo scorso anno, elevando il suo senso di responsabilità e garantendogli massima fiducia. Una gestione perfetta ripagata dalle prestazioni di Lautaro, sempre di livello assoluto e ora con i primi interessi: i gol belli e pesanti come quello al Barcellona.

 

 

 

 

Il Barça ha indotto Inzaghi ad una quarta mossa, questa volta tattica: un'Inter con un baricentro più basso di una manciata di metri. Così ha scoperto che, per caratteristiche, questa rosa rende di più con meno campo alle spalle: i tre difensori, prima in grossa difficoltà, hanno meno spazio da coprire, i centrocampisti sono predisposti al sacrificio e ne godono (anche due ex trequartisti come Calhanoglu e Mkhitaryan) e le due punte non hanno problemi a coprire tutto il fronte, anzi, in esso si esaltano. E questo in attesa di Lukaku (possibile panchina domenica contro la Salernitana), che in un modo di giocare così - che non è difesa e contropiede ma "protezione e distensione" - ha già fatto la differenza. L'Inter che non pretende di governare il gioco è quella giusta perché non perde equilibrio e non concede il fianco. La ragnatela di Inzaghi crea comunque una montagna di occasioni (come dimostra il Camp Nou) anche se non viene filata per 90'. La quinta e ultima mossa è la gestione dei giocatori, non più conseguente ad alcuni preconcetti (come le ammonizioni: Barella all'andata con il Barça è stato ammonito al 23', Lautaro e De Vrij al ritorno al 53', tutti hanno terminato la gara) ma ragionata in base allo stato di forma. Il massimo esempio è il definitivo trasloco di Dimarco come quinto di centrocampo, dopo averlo visto brillare in Nazionale. Così tutto torna, nell'Inter di Inzaghi. E l'Inter di Inzaghi torna a competere. 

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