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Spalletti e Sarri, la lezione e la rivincita su Inter e Juventus

Claudio Savelli
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«Grande Spallettone!», disse Josè Mourinho circa un anno fa ai microfoni di Dazn, quando «l'amico Luciano» subentrò in diretta. La Roma del portoghese non era ancora una squadra mentre il primo Napoli spallettiano volava ancor più in alto (in quanto a punti in campionato) rispetto a quello attuale, che pare una macchina perfetta. Quel diavolo di Josè era quasi riuscito a fermarla, ritrovando la passione per gli scontri diretti che sembrava aver perso, ma poi si è palesato Osimhen, a confermare lo stato di grazia di Spalletti che lo sceglie dall'inizio e decide di tenerlo in campo fino alla fine, raccogliendo così il super-gol decisivo. Spalletti vola mentre Gasperini inciampa, così resta l'unico imbattuto in Italia e uno dei pochi in Europa, oltre solo al Psg di Galtier e al Real Madrid di Ancelotti, che a Napoli fallì.


Luciano si sta prendendo una (parziale) rivincita sul calcio italiano, che non lo ha mai compreso fino in fondo. Ne sono dimostrazione i fischi di un Olimpico che non gli perdona il trattamento-Totti senza rendersi conto che era doveroso e responsabile. Andrebbe ricordato ai tifosi giallorossi che Spalletti fece grandi cose in entrambe le esperienze a Roma. Nella prima portò il calcio avanti di quindici anni: quella squadra, giocasse oggi, sarebbe del tutto contemporanea.

Anni dopo, Spalletti è stato mandato via dall'Inter nonostante due anni di contratto e due Champions raggiunte perché Conte si poteva prendere in quel momento o mai più, e la dirigenza nerazzurra preferì cogliere l'occasione. Ora guadagna meno di Inzaghi (4,5 contro 2,8 milioni) e c'è chi farebbe cambio. Anche Sarri è stato mandato via da una grande, la Juventus, senza essere compreso. Dopo aver schiantato l'Atalanta a domicilio, si avvicina a grandi passi alla vetta mentre la sua ex si barcamena all'ottavo posto, guidata da chi lo sfotteva in conferenza stampa. Entrambi dimostrano che si può avere più di 60 anni ma essere giovani nell'interpretazione del gioco e del proprio lavoro. Un lavoro che richiede studio, dedizione e applicazione, qualità che ad una certa età e ad un certo conto in banca potrebbero anche sparire. E invece i due toscani ne hanno ancora in abbondanza, addirittura più che in gioventù.

Sarri toccherà ferro e qualcos' altro, ma gli facciamo notare che la sua Lazio ha numeri da scudetto. Almeno quelli superficiali: solo 5 subiti in 11 gare, a fronte di 23 segnati, anche se le occasioni potenziali concesse sono molte di più ed è quindi probabile che la difesa sia in debito con la fortuna. È comunque la dimostrazione che il secondo anno, per i grandi allenatori, è quello in cui si raccolgono i frutti. Questa dinamica con Sarri è scientifica: paradosso vuole che le sue due precedenti società, Chelsea e appunto Juve, pur sapendolo non siano state in grado di aspettare. Forse perché avevano alzato rispettivamente Europa League e scudetto nella stagione del rodaggio e pensavano di non poter ottenere di più. Come si sarebbero divertite nel secondo giro. Ma, si sa, la pazienza è la virtù delle dirigenze forti. Una rarità.


 

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