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Caro Mario Sconcerti, la verità? Al posto tuo dovrei esserci io

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Claudio Savelli
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Il collega Mario Sconcerti, durante Pressing (programma tv firmato Mediaset che da quelle parole ha subito preso le distanze), ha detto che l'aggressione al Franchi «ha delle attenuanti» e che «non si può accusare di inciviltà i tifosi dopo un avvenimento sportivo discretamente falsato». Oltre a sfiorare l'apologia di reato, è una buona sintesi dei motivi per cui il sottoscritto, trentenne giornalista e editorialista su queste pagine, è incazzato nero. E, come il sottoscritto, lo sono altri centinaia e centinaia di colleghi più o meno coetanei.

 

Il motivo è presto detto: il calcio corre veloce verso il futuro eppure a parlarne sono soprattutto coloro che lo vorrebbero riportare nel passato. Un passato fatto di polemiche, cliché, perbenismi, "celolunghismo", retorica, frasi fatte, superficialità, risse e approssimazione. Tutto ciò che il pallone in larga parte non è più e, per quel che manca, vorremmo che non fosse più. Ci proviamo ogni giorno, chi su queste pagine e chi su altre, a raccontare lo sport che amiamo in un altro modo. Troviamo il tempo per guardarlo, studiarlo e analizzarlo perché è la condizione per "quest' altro modo", anche se, nella maggior parte dei casi, le nostre giornate sono occupate da altri mestieri. Ci incazziamo perché chi parla al posto nostro ha potuto fare solo quello per tutta la vita e non si rende conto del privilegio. 

 

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E oggi, magari dalla pensione, perde tempo in discorsi da bar sport. Non vale per tutti. Grazie al cielo i maestri esistono e rispondono pure ai nostri messaggi quando chiediamo loro consigli, ma è brutto che ci sia più di un'eccezione a questa buona regola. Il sottoscritto, l'indomani di ogni pezzo o editoriale scritto per Libero, sfoglia i giornali fino a quelli degli altri colleghi nella speranza che ci sia qualcosa da imparare. Quando scopre che non c'è nulla e che un riferimento, in realtà, non è tale, si domanda se non è giunta l'ora del passaggio di consegne. Se non siamo già noi altri i riferimenti. Se quelle sono firme autoritarie, piuttosto che autorevoli. Poi si ricorda che in questo strano mondo si applica la legge dei vecchi allenatori di paese che ad un rampante vice chiedono: «Sai quante partite ho visto io?!». Magari tante, di certo più di noi, ma non abbastanza da renderti conto che la tua squadra, mister, gioca ancora con il libero e lo stopper.

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