Cerca
Logo
Cerca
+

Vialli contro Zeman: "Cog***te di un terrorista", l'unica volta in cui perse il controllo

  • a
  • a
  • a

La vita e la carriera di Gianluca Vialli non sono stati solo gol, sorrisi, applausi e complimenti. Nella sua straordinaria avventura, l'ex bomber di Cremonese, Sampdoria, Juventus, Chelsea e Nazionale ha dovuto affrontare due grandi dolori sportivi: il primo, il fallimento personale di Italia 90, il Mondiale casalingo in cui era atteso come la stella azzurra e che lo ha visto però andare in crisi, scavalcato nell'immaginario collettivo globale da uno strepitoso Totò Schillaci.

 

 

 

Di fatto, fu quella la sua ultima grande occasione in Nazionale. Il secondo dolore, le polemiche di metà anni Novanta sulla sua "esplosione" fisica una volta arrivato alla Juve. Era il caos-doping sollevato dall'allora allenatore della Roma Zdenek Zeman, che gettò ombre nerissime sulla Signora, mister Marcello Lippi, la dirigenza (Luciano Moggi in testa), il medico Agricola e il preparatore atletico Ventrone. E i grandi protagonisti in campo di quella Juve vincente e muscolare, di cui Vialli è stato capitano fino all'addio, nel 1996. Poi è venuto il tumore al pancreas, che lo ha stroncato a soli 58 anni dopo 5 anni di battaglia strenua, orgogliosa, coraggiosa e inutile. Ma quello, ovviamente, è stato un altro livello di sofferenza.

 

 



Non è un caso che Vialli, sempre gentile, moderato, pacificatore (anche nello spogliatoio, basti pensare alla Samp dei miracoli di Boskov e Mantovani, in cui era l'unico a tenere a bada le bizze dell'amico fraterno Roberto Mancini), un autentico gentleman icona di stile, perse davvero le staffe e il controllo solo con il tecnico boemo. Le accuse di Zeman sono, parola di Gianluca, "cog***te di un terrorista".

 

 

 

 

Una espressione brutale, ma sicuramente efficace, per sgombrare ogni dubbio sulla creatina, il "segreto" per eccellenza della rigorosa, impressionante preparazione fisica e atletica imposta dal "Marine" Ventrone. "Alla Juventus - disse il bomber una volta andato via da Torino - nessun dirigente mi ha mai chiesto di giocare bene, tutti di vincere. Lì il successo è più un sollievo che una gioia".

Dai blog