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Napoli-Juventus, cosa c'è dietro la disfatta di Allegri

Claudio Savelli
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Una sfida scudetto con 7 punti di vantaggio si può affrontare in modi diversi. Si può pensare di conservare la distanza, di gestire la gara e l'avversaria peraltro reduce da ben 8 vittorie consecutive e quindi tendenzialmente entusiasta, di minimizzare i rischi e attendere il finale per uno strappo, ché il pareggio non è poi così male. Oppure si può approcciare secondo la propria filosofia offensiva, con il piglio della grande squadra che vuole essere protagonista, che non si fa condizionare dalle responsabilità e dall'occasione che lei stessa si è creata. Non è scontato.

 

Non è da tutti. Non era da Napoli. Questo Napoli, invece, ci riesce. Non fa altro che essere se stesso nella miglior versione possibile. Domina la Juventus, governa le emozioni, gioca. E segna. Prima con Osimhen e poi con Kvara, i due protagonisti della stagione.

 


Non è un caso che l'imbattibilità lunga otto gare dei bianconeri sia interrotta dal miglior attacco del campionato e dalla capolista. È la conferma che quest' ultima è la squadra da battere perché non si batte più da sola. Il Napoli è diverso. Non vive più con le antiche paure e l'idea sotterranea di essere un'imbucata alla festa delle solite tre. Scende in campo per giocare e gioca per vincere. Semplice a dirlo, meno a farlo. Ma l'approccio alla sfida del Maradona è un importante e forse definitivo segnale di maturità di questa squadra e, soprattutto, della città. Una città che ora non pretende il successo ma si gode quanto sta accadendo in modo più genuino e distaccato. Più sano. Una città che capisce il progetto di De Laurentiis e lo applaude, ritenendolo diverso rispetto a tutti gli altri e quindi valido. Di questa crescita emotiva e mentale della tifoseria va dato merito a Spalletti. Che ha fatto capire il valore del gioco del Napoli e il privilegio di poterne godere, ridimensionando l'ossessione per il risultato e il pessimismo che ne conseguiva. Lo ha fatto dentro la squadra e, così, lo ha propagato oltre essa. Il gol Di Maria non toglie nulla alla bontà del primo tempo del Napoli, semmai conferma che la Juventus non giocherà bene ma è viva e convinta di ciò che sta facendo. Non lo era lo scorso anno né ad inizio stagione perché si pensava da scudetto e non si capacitava dei risultati negativi. A lungo ha inseguito un'idea di gioco senza aver le qualità necessarie (tra cui la convinzione e la continuità) per raggiungerla. Quando si è rassegnata alla sua imperfezione, ha recuperato un'identità e i risultati.


Ma il Napoli è superiore di dieci punti rispetto a questa Juventus. E lo dimostra con una partita dominata e giocata dall'inizio alla fine, a prescindere dal risultato e da ciò che accade. Sul 3-1, gli azzurri cercano il quarto gol. Una volta segnato il quarto, spingono per il quinto. Che arriva. È tutto lì. L'ultima volta che la Juve incassava 5 reti era il 1992/93: 33esima giornata contro il Pescara. Quello del Napoli, quindi, è un segnale convinto per lo scudetto, anche perché risuona oltre i confini: la serie A è comandata da una formazione che gioca come richiede l'Europa. Senza pensare troppo e senza fermarsi mai.

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