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Gigio Donnarumma, chi c'è dopo di lui: "Ha la sindrome del Psg"

Claudio Savelli
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 Gigio Donnarumma è il manifesto di cosa è stata la Nazionale negli ultimi due anni e di cosa si spera non sia più. Ovvero una squadra in cui la convocazione si guadagna per quanto fatto in passato e non per quel che si fa oggi e nella quale la maglia da titolare è garantita per il nome stampato alle sue spalle anziché per le prestazioni di chi l’ha indossa.
Il caso di Donnarumma è il più evidente della categoria di cui sopra: dall’11 luglio 2021, la magica notte di Wembley in cui parò tutto e di più, il suo rendimento è in caduta libera. E a chi gliel’ha fatto notare in passato, il portiere ha risposto sgarbatamente. Della serie: come osi criticare me, eroe dell’Europeo vinto? Questa mancanza di umiltà ha accompagnato l’Italia fino alla notte di Skopje, dove è riemersa dopo il gol realizzato, quando inconsapevolmente gli azzurri hanno creduto che la partita fosse vinta. La superbia è meglio visibile posizionando la lente d’ingrandimento sulla punizione di Bardhi. Donnarumma sbaglia perché sottovaluta il pericolo. Fa un passetto verso il palo non coperto e perde lo slancio verso il suo, senza mettere la giusta dose di concentrazione nella lettura della postura del tiratore: dà per scontato che tiri lì e che ci si arrivi comodamente.

DOPPIO ERRORE
L’errore tecnico è figlio di un errore psicologico. Un portiere poco concentrato è un virus che si diffonde nella squadra nei momenti cruciali: meglio prevenire che curare. Donnarumma non è il portiere ideale per l’Italia nemmeno per quanto riguarda il gioco. Ogni volta che deve gestire il pallone con i piedi sembra non sapere cosa fare e, oltre a sbagliare il gesto tecnico, spesso prende la decisione sbagliata. Anche questa è sufficienza. Donnarumma non pensa di dover lavorare su questa sua mancanza per essere un portiere top perché è convinto di esserlo già. In più non si è accorto che, nel calcio contemporaneo, un portiere che non sa giocare con i piedi deve parare tutto, e al momento non è certo il suo caso. Donnarumma ha smesso di migliorare da quando è sbarcato a Parigi. E quando è sbarcato a Parigi? Tre giorni dopo la notte di Londra in cui è sembrato il miglior portiere del mondo. In più, il Psg è l’anatema dei grandi giocatori: chiunque giochi in quel club, interrompe il percorso di crescita. O, peggio, peggiora. I casi più noti agli italiani sono quelli di Icardi (che si sta riprendendo ora che è in Turchia), Hakimi, Paredes e Verratti, e chissà se Skriniar farà la stessa fine.

 

 



Ma vale anche per Neymar, Draxler, Di Maria, Cavani, per citare solo i più noti: tutti campioni arrivati a Parigi all’apice e poi misteriosamente calati o crollati, quasi mai per questioni anagrafiche. Mbappé lo ha capito e non rinnoverà il contratto per evadere da quell’eden fasullo. Se è cosa nota, una Nazionale che può scegliere i giocatori dovrebbe stare alla larga dal Psg, e visto che Verratti è andato in Qatar, all’Italia resta solo Donnarumma. 

Non ci fossero alternative, l’insistenza dei ct sarebbe comprensibile. Ma da un paio di anni, proprio quelli della crisi di Donnarumma, non è più così. Spalletti ha convocato Vicario, Meret e Provedel: il titolare del Tottenham, squadra in fiducia, il campione d’Italia in carica e il titolare della Lazio di Sarri, abile con i piedi. C’è l'imbarazzo della scelta per la sfida di domani a San Siro contro l’Ucraina che solo in teoria è una partita del girone: di fatto avrà l’atmosfera di un playoff.

OCCHIO ALL’INFERNO
Non vincere significa accettare l’inferno dei playoff a cui l’Italia ha diritto per via delle finali di Nations League. Ma abbiamo un vissuto da sfruttare: sappiamo che in queste gare non devono giocare per forza i migliori, ammesso che Donnarumma sia ancora tale, ma quelli più in fiducia, e Donnarumma di certo non lo è. Gli italiani suggeriscono Vicario, Spalletti ci pensa e intanto convoca Orsolini per sostituire l’infortunato Politano (Mancini, l’altro azzurro finito ko, non verrà rimpiazzato). Non abbia paura di cambiare per la partita decisiva: i precedenti ct non l’hanno fatto e sappiamo come è andata a finire.

 

 

 

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