Cerca
Logo
Cerca
+

Milan, il vero errore: chiedere a Pioli di fare il manager

Claudio Savelli
  • a
  • a
  • a

Dietro alla fuga di Inzaghi e Allegri, soli al comando e con un solco alle spalle dopo appena un terzo di campionato, non ci sono solo i loro meriti personali e due buone, se non ottime, rose. Ci sono anche due grandi squadre dirigenziali. Squadre, sì, parola strana per un gruppo di professionisti dietro una scrivania ma più che mai corretta per descriverne l’anatomia.

L’Inter ha una squadra, appunto, di dirigenti che, oltre a essere bravi singolarmente, lavorano volentieri assieme. Lo ha ammesso Piero Ausilio, lo ha confermato Beppe Marotta, saranno sicuramente dello stesso avviso Baccin e Antonello. E mettiamoci anche Steven Zhang, presidente 31enne, più giovane di alcuni calciatori della rosa, di Inzaghi e di tutti i dirigenti sopra citati. Per chi comanda, la giovane età potrebbe essere un limite, invece nell’Inter è una virtù perché avvicina Zhang ai calciatori e lascia ai dirigenti spazio di manovra. Il presidente nerazzurri si fida di chi ha più esperienza di lui, sa delegare, sa ascoltare, sa rispettare le decisioni dei dirigenti. L’ingaggio di Marotta, che è stata la svolta per l’Inter, non sarebbe mai esistito se l’Inter in quel momento fosse stata guidata da un presidente accentratore. Insomma, il più giovane dei proprietari “italiani” ha qualcosa da insegnare in termini di management ai più vecchi.

 

Lasciato da Giuntoli e da un tecnico-manager come Spalletti, De Laurentiis si è ritrovato solo alla guida del Napoli e ha deciso di accentrare sudi sé tutti poteri. Non ha scelto un direttore sportivo già affermato né ha pensato di affidarsi ad un amministratore delegato. Ha deciso che avrebbe dovuto decidere tutto lui. Così funzionano le piccole e medie imprese, non le grandi aziende contemporanee. Nella crisi, poi, ha ulteriormente accentuato la virata verso un modello aziendale superato. Quando l’autorità di Rudi Garcia è stata contestata, De Laurentüs si è trasferito nel centro sportivo: ha marcato stretto l’allenatore in privato e lo ha lasciato solo in pubblico, quando un grande dirigente di solito fa il contrario, lo marca stretto in pubblico e lo lascia lavorare nel privato. Con Inzaghi, lo scorso anno, Marotta ha fatto così.

Gli unici allenatori sereni sono quelli che vincono, ovvio, ma gli unici che stanno vincendo sono quelli con le dirigenze presenti e strutturate. Non un caso. Dicevamo della squadra nerazzurra: ecco, la nuova Juventus quest’estate ha deciso di prendere spunto.

 

Perché l’unico vero colpo sul mercato dei bianconeri è stato Giuntoli, ormai giunto ad uno status superiore al mero direttore sportivo. E la prima cosa fatta dal nuovo arrivato in casa bianconera qual è stata? Fare squadra con Manna, il dirigente della casa, e Allegri, l’allenatore scelto dal consiglio d’amministrazione precedente. Due mosse perfette: si è creato un gruppo di lavoro, mentre prima era un insieme di singoli. Il risultato è che Allegri è di nuovo sereno e la Juventus va. La crisi di Pioli, Rudi Garcia, Sarri e Mourinho, che infatti non si fanno del male a vicenda nel derby- colpisce gli allenatori poco protetti dalle rispettive dirigenze. Dirigenze assenti, morbide o incomplete, dipende dai casi. Il Milan sta correndo ai riparti con Ibrahimovic. È l’ammissione di un errore. A Pioli è stato chiesto di essere un manager all’americana e a chiederglielo, infatti, è stato un americano. Ma nel calcio non funziona così, soprattutto in Italia un allenatore deve poter fare solo l’allenatore. Pioli, finora, non ha potuto farlo. E chi ha visto qualche partita del Milan se ne è accorto.

Dai blog