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Luciano Spalletti, girone da incubo agli Europei: ecco cosa ci aspetta

Claudio Savelli
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L’Italia di Luciano Spalletti è stata davvero poco italiana perché ha imparato dal passato. Sapeva che avrebbe dovuto soffrire fino all’ultimo secondo e non si è tirata indietro. Così doveva essere - anche battendo due volte la Macedonia, nella gara finale contro l’Ucraina sarebbe servito almeno un punto - e così è stato. La capacità di soffrire l’ha data il nuovo ct. Su questo non possono esserci dubbi perché prima non esisteva: l’Italia di Mancini rendeva quando andava tutto bene ma si sgonfiava non appena le cose cominciavano a girare male. Il carattere di questa Nazionale dovrebbe quindi lasciarci tranquilli perché è già lo stesso di chi la guida: Luciano Spalletti. Se in pochi mesi, entrando in corsa, raccogliendo una squadra tatticamente e psicologicamente in macerie, il ct ha dato un’anima, cosa può fare ora che la qualificazione è ottenuta e la pressione è smaltita? Tanto. E il fatto che ne sia perfettamente consapevole («Ora viene il bello») è un’altra ottima notizia.

Questa Nazionale non si sente compiuta come quella precedente. Sa anche quali sono i suoi margini. Spalletti è consapevole che bisogna perfezionare la tattica collettiva perché non potrà mai contare su solisti a cui chiedere di più, se non Chiesa che si è distinto per impegno e iniziative in entrambe le ultime due gare. Si è già intravista la metamorfosi da un calcio “di posizione” ad uno di “ricerca della posizione”, ma questa parte va allenata. Sono da registrare le distanze: è normale che una squadra abituata a rimanere compatta e a non distendersi mai ora tenda ad allungarsi dopo ogni strappo in avanti.

 



FASE OFFENSIVA
Anche la fase offensiva richiede lavoro perché troppe volte l’area era vuota. Non che Raspadori non possa riempirla, ma va allenato per questo e convinto di essere una prima punta (il girovagare nel Napoli non aiuta). Spalletti non deve cambiare mentalità solo ai giocatori ma anche agli italiani. Deve convincerli che questa Nazionale può migliorare solo passando da un Europeo impegnativo e, magari, togliere dalla testa l’idea di dover vincere la competizione della prossima estate in Germania. Non ce lo chiede nessuno e non dovremmo chiedercelo da soli.

Dobbiamo semmai parteciparvi per costruire una base solida e duratura, cosa non avvenuta tre anni fa. Più sarà difficile il girone, più sarà attendibile il check point: capiremo a che punto siamo in vista dei Mondiali 2026, il vero obiettivo della gestione Spalletti. Presentiamoci al sorteggio del 2 dicembre con un altro punto di vista. Ben venga un girone complesso anche perché è ciò che ci siamo meritati. Non essendo testa di serie, l’Italia incontrerà una delle nazionali (oltre alla Germania ospitante, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra o Belgio) che hanno vinto il girone di qualificazione.

Giusto così: pretendere una posizione privilegiata in quanto campioni in carica è una cosa molto italiana, e questa Italia, come detto, per fortuna non lo è. Il gruppo dell’ultima edizione con Turchia, Svizzera e Galles meno brillanti rispetto ad ora lo avevamo conquistato con delle qualificazioni impeccabili. Ma non sempre i gironi morbidi ci sono andati a genio. Ai Mondiali 2010 (Paraguay, Slovacchia, Nuova Zelanda) e 2014 (Uruguay, Costa Rica e un’Inghilterra in crisi) erano abbordabili, eppure siamo usciti. Agli Europei 2016, l’Italia di Conte si esaltò contro il Belgio nei gironi (Svezia e Irlanda le altre due), nel 2012 la versione di Prandelli raggiunse la finale partendo dalla Spagna campione del mondo in carica, la Croazia in rampa di lancio e l’Irlanda. Il girone sarà simile a questi. Con una differenza: le squadre materasso non esistono più. Dalla seconda e dalla terza fascia, e anche in quarta, si pescano Nazionali con almeno un campione ad un livello superiore rispetto a quello di molti azzurri. È utile rendersi conto del livello generale e, soprattutto, che tutti, anche i più forti, devono lavorare per superarlo. Figuriamoci un’Italia imperfetta.

 

 

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