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L'ex ingegnere Ferrari Luigi Mazzola: "Verstappen come Schumi. I limiti di Leclerc e il rischo con Hamilton"

Leonardo Filomeno
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“La Ferrari quest’anno si è presentata bene da subito. E’ efficiente, guidabile. Può dar fastidio”, dice Luigi Mazzola con un sorriso. Classe ’62, ferrarese, per la Formula 1 è un osservatore di peso. Approda a Maranello nell’88 e diventa ingegnere di pista di Alain Prost da neolaureato. Ci resta fino al 2009. Poi si reinventa, trasferendo alle aziende la sua esperienza di manager e leader. In mezzo, la fortuna di vivere come capo della squadra prove l’era più bella ed elettrizzante della Rossa, quando Michael Schumacher vinceva ogni domenica. “Anche la McLaren, però, ha sistemato un po’ di cose”, continua. “E’ forte, ha carico. La sensazione è che negli ultimi GP abbia superato la Ferrari, rendendola una terza forza”. 

Per Sainz, intanto, il congedo si avvicina. 
“Fossi in lui, non sarei scontento. Va via per Hamilton, non per Albon. E per un disegno ormai chiaro. Non penso sia stato sbagliato tenere Leclerc”.
Potrebbe essere Charles l’anti-Max?  
“Gli mancano una completa gestione della macchina e più personalità nei confronti degli ingegneri. Ma morde. E ha fame. Senz’altro più di Norris. Quindi dico di sì. Prendi Singapore ’23: Lando poteva attaccare Sainz, ma decise di aiutarlo, restandogli dietro, per contrastare le Mercedes. Questo voler accontentarsi, e non provarci mai a 10 giri dalla fine, mi lasciò molto perplesso. E il mio giudizio su di lui non è mutato, anche se ha vinto un Gran Premio”.
Come leggi le difficoltà di Red Bull? 
“E’ un po’ regredita. Qualche sviluppo non è andato nella direzione giusta. Servono dei compromessi, bisogna lavorare sull’assetto, sul bilanciamento. Gli scossoni recenti, culminati col pesante addio di uno come Newey, si spiegano solo con una lotta interna di potere. Anche se di solito i casini nascono quando vai male, non quando vinci sempre. Inevitabile che ciò non impatti sull’armonia e sul rendimento. Mentre gli altri, magari, avanzano”.

 

 


 

Verstappen sopra ad Hamilton tra i campioni del mondo? 
"L'ha superato da un pezzo. Hamilton ha vinto tanto, con una squadra che lo ha supportato in tutto. Ma ha perso un Mondiale contro Rosberg. Verstappen, invece, i compagni li ha demoliti tutti. Ed è uno che quando non corre va a fare le gare virtuali. Ripenso a Schumacher, con cui ho lavorato, e che mai avrebbe perso contro il suo compagno di squadra. Max è al livello di Prost, Senna, Schumi, campioni con un approccio totalizzante. Mentre Hamilton ha in ballo più interessi e situazioni. E’ un gradino sotto rispetto a loro, non come qualità di guida, ma come visione del motorsport e mentalità”.
Senz’altro la demotivazione è tanta, sembra aspetti solo la nuova divisa.  
“E’ il terzo anno che guida una Mercedes ormai inspiegabilmente non competitiva e la sua carriera si avvia verso il tramonto. Ci sta. Sarà questo il punto dolente in Ferrari. Se si ritroverà una macchina vincente vedremo l'Hamilton di sempre, viceversa sarà una copia di questo brutto 2024”.
Raffrontandola con quella dei tuoi tempi, cosa manca oggi alla Ferrari? 
"Dal punto di vista tecnico è un gradino sotto per creatività, analisi dei dati e indirizzo dello sviluppo. All'epoca c'erano persone che intuivano i deficit e individuavano la direzione da seguire. Poi c’è la questione piloti. Noi avevamo Schumacher, persona determinata, con te 7 giorni su 7. Per vincere, metteva a soggezione. Ha colmato importanti lacune portando Ross Brawn e Rory Byrne. E' stato l'artefice di una mentalità vincente che in Sainz e Leclerc non vedo. Sono bravi, ma non hanno il carisma di chi ha vinto. E si fanno trasportare da ciò che dice il team, anch’esso a secco di esperienze vincenti”.  
Senza Schumi, Irvine e Barrichello sarebbero potuti diventare Campioni? 
“Irvine nel ’99 ci andò vicino. Poi iniziò l’era Schumacher e, seppur questa opzione era all’epoca inimmaginabile, Rubens in quegli anni un Mondiale l’avrebbe potuto vincere. Nonostante, poi, con Button perse…”.

 

 


Qual è il primo ricordo di Montezemolo?  
“Le mie dimissioni per andare in Sauber, con l’avvocato appena arrivato in Ferrari. Le annunciai in una riunione da lui presieduta. Rimase sorpreso. Ma fu in grado di prendermi in contropiede, con un discorso di 20 minuti a mio favore. Andai a stringergli la mano. L’anno dopo Sauber era davanti a Ferrari. Tramite Todt, creò le condizioni affinché tornassi”.
Monza 2000, tre Gran Premi alla fine. E una previsione. 
“Prima della gara, Montezemolo chiese come fossimo messi. Nessuno si espose. Facendo i test ed avendo una visione chiara, gli dissi che avremmo vinto 2 GP su 3. ‘Allora vinciamo il Mondiale’, rispose. ‘Io dico che ne vinciamo 2 su 3.” Vincemmo la gara successiva e mi chiamò: ‘Ne manca un’altra’. A quel punto mi lanciai: ‘Le vinceremo tutte’. Al GP successivo, stranamente, mi convocò direttamente nel suo studio, al pomeriggio, per congratularsi e regalarmi un grande orologio, che ancora gelosamente custodisco”. 
Hai detto: “Era un trascinatore. Ma non gliela raccontavi come volevi”. 
“Aveva una conoscenza profonda. Sapeva ciò che serviva alla squadra. Certo, poteva partire un cazziatone, ma dopo 5 minuti era di nuovo con te a braccetto, tanto il rispetto per i suoi tecnici era sconfinato. Durante i test telefonava più di una volta al giorno. Eravamo seguiti. All'epoca una figura presente era anche quella di Gianni Agnelli. Non so se oggi con John Elkann e Benedetto Vigna sia la stessa cosa. Soprattutto, non so quanto seguano la Formula 1 o siano conoscitori della materia”.
L’esperienza umana con Schumi va oltre gli anni in Ferrari. 
“Lo richiamai nel 2007 per avere un plus durante sviluppo della vettura, a fronte di un totale cambio dei regolamenti nella gestione elettronica. Non dimenticherò mai la sensazione che provai nel rimetterlo in macchina, tornando a sperimentare quella sua dimensione professionale di cui dicevo prima”.
Il ricordo che porti nel cuore in assoluto? 
“Il rapporto con Brawn e Byrne. Complicità. E stessi obiettivi: una macchina per vincere”. 
In Ferrari hai assunto Andrea Stella, cresciuto poi nella tua squadra. 
“E’ un plus oggi per McLaren. E’ un persona valida ed è l’espressione della perenne ricerca nell’individuare un mio numero 2. Qualcuno in grado di dare un giudizio finale su qualsiasi tipo di sviluppo. Cosa per la quale serve coraggio. Perché con quella macchina poi scenderai in campo”.
All’epoca c’era anche Domenicali, che ha svecchiato la Formula 1. 
“Se parliamo in termini di crescita dell’audience, condivido il suo approccio. Porrei dei limiti sul numero dei Gran Premi. Si rischia di farli diventare una routine, soprattutto se privi di pathos. Darei meno importanza all'evoluzione tecnologica, che interessa solo a qualche casa automobilistica. La sensazione, poi, è che si stia puntando su regolamenti sempre più costrittivi. Col risultato che le macchine diventano tutte uguali. Vetture più difficili da guidare, invece, mettono in evidenza la bontà dei piloti. Sarei curioso di vedere chi sarebbe bravo a guidare una macchina con 1000 cavalli di potenza e 100 punti in meno di aerodinamica”. 
Più pilota-dipendenti, insomma. 
“E più creativi. L'emozione nasce dai duelli. E dall'attività umana. E’ l'essere umano che emoziona, non la tecnologia. Guarda la faccia di Verstappen dopo la vittoria sudata ad Imola. Il mito lo scovi solo in quella maniera”. 

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