Arrigo Sacchi sa bene cosa si assapora nei giorni e nelle ore che precedono una finale di Champions League. Ne ha giocate e vinte due. Quindi, a poche ore dal ciak, è la persona giusta per aprire una finestra su Inter-Psg, partita per la quale sta salendo l’ansia nerazzurra.
Sacchi, come vede la finale di domani sera? Una salita imperiosa per l’Inter?
«Come tutte le finali sarà una sfida a scacchi nella quale vincerà chi avrà osato di più, non di meno».
Psg-Inter, la mossa di Inzaghi: "Formazione quasi inedita"
A poco più di 48 ore dalla finalissima di Champions League a Monaco di Baviera, l'Inter ha ben chiari gli uom...Si spieghi.
«L’Inter ha le possibilità di vincerla ma deve seguire alcuni dettami che mi permetto di consigliare».
Un allenatore che ha vinto due finali su due ha pieno diritto.
«Però mi permetto di dire che quello di Monaco non sarà lo stesso allenatore delle finali di Barcellona 1989 e Vienna 1990».
Traduca.
«Simone è molto bravo, ed è parecchio migliorato da quando è arrivato a Milano. Sta crescendo ancora ma deve fare attenzione ad alcuni dettagli».
Via con i consigli, allora.
«Prima di tutto deve fare coraggio alla squadra, ai giocatori che non devono entrare i campo con la paura. E poi deve evitare alcuni momenti che potrebbero diventare pericolosi contro una squadra come il Psg».
Ad esempio?
«L’Inter gioca un po’ a folate, in semifinale contro il Barcellona e nei quarti contro il Bayern ho visto alcune volte sette-otto nerazzurri nella propria area difensiva. Così si rischia».
Quindi Inzaghi cosa deve dire di non fare ai giocatori dell’Inter?
«Di arretrare, anche se hanno segnato uno o due gol. Se danno spazio ai giocatori del Psg sono guai».
Questa Inter ha le energie psicofisiche necessarie?
«Sì. L’aver perso il campionato e, prima, la Coppa Italia non deve essere visto come un mezzo fallimento».
La stagione sarebbe comunque positiva anche nella malaugurata ipotesi che... (e qui ci fermiamo ndr).
«Certo. Come dicevo prima, Simone ha cercato di far imporre alla propria squadra il dominio del gioco ma, a volte, l’Inter è caduta in errori del passato. Non è stata offensiva per tutti i 90-95 minuti come lo dovrebbe essere una squadra del genere. Riguardate la partita contro la Lazio e avrete una risposta alle mie parole».
Giocatori decisivi nell’Inter?
«Il centrocampo è sempre il reparto che tiene alto il livello del gioco ma sono gli attaccanti che decidono. Quindi dico Barella e Lautaro».
Un altro consiglio sacchiano in chiave tattica?
«Fondamentale sarebbe portare sempre via l’iniziativa ai possessori di palla del Psg. In quello sono bravi, meno dietro».
Il Paris Saint Qatar, pardon, Germain, è un’altra squadra rispetto a quella delle figurine con Messi, Mbappè e Neymar.
«L’ha cambiata in modo intelligente Luis Enrique che, tra l’altro, ha evoluto il suo modo di intendere il calcio: dal tiki-taka fallimentare della sua Spagna a un gioco più corale e d’attacco di questo Psg».
Da chi guardarsi?
«Kvara rappresenta un pericolo che, però, i difensori dell’Inter conoscono. Diciamo che non è mai un giocatore solo a decidere. Maradona a parte, il mio Milan aveva il più grande del momento, e sto parlando di Van Basten. Ma vincemmo molte partite anche senza Marco».
Cosa diceva giocatori nei minuti che precedono una finale?
«Il più era stato fatto nei giorni precedenti. Le racconto un aneddoto: prima di una partitissima che vincemmo, Berlusconi venne a trovare la squadra negli spogliatoi e sentì delle urla dallo stanzone dei rivali. Gridavano per caricarsi. Mi chiese: ma Arrigo, perché fanno così? Sono sicuri di vincere? Io risposi: No, presidente, urlano perché hanno paura di noi».
A proposito di Milan, a Milanello sta tornando Max Allegri. Lei non ama la filosofia del corto muso, vero?
«Le rispondo filosoficamente: i padri fondatori di questo sport hanno dato indicazioni che il calcio fosse uno sport collettivo e offensivo. In Italia lo tramutiamo, a volte, in una disciplina individuale e difensiva. Non dico altro».
Gasperini è al congedo dall’Atalanta?
«Non so dove andrà ma tutto prima o poi ha una fine. Il giorno che capii di non essere più sicuro di me stesso, chiusi per sempre. Non sarà certo così per Gasperini».
Chi, tra i nuovi tecnici, segue la filosofia del collettivo?
«Mi piace molto come fa giocare le proprie squadre De Zerbi. Quest’anno mi è piaciuto parecchio anche il pressing alto che Italiano ha imposto al Bologna».
E il Napoli scudettato? Conte appartiene a quale delle due linee di pensiero?
«Come Inzaghi, Antonio è migliorato. Se vai a vedere il suo curriculum è perfetto, ha conquistato trofei ovunque. Ma è nelle varie fasi del gioco che ho notato intensità collettiva. E lo scudetto al Napoli è stato oggettivamente meritato».