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Migranti, accordo con l'Albania: modello-Pozzallo, diritti garantiti

Antonio Rapisarda
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Il giorno dopo l’ufficializzazione dell’intesa fra Italia e Albania è stato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a inquadrare i dettagli dell’accordo e a fornire la fotografia del sistema di espulsione e di rimpatri. Per ciò che riguarda il protocollo con l’Albania, che rappresenta «un tutt’uno con la politica generale che il governo sta adottando», nel concreto si tratta di un’estensione della rete dei Cpr. Con una precisazione importante, giunta durante l’audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen: il nuovo sito, da istituire nell'area di Gjader, non sarà propriamente un Cpr ma farà «riferimento a strutture analoghe a quella realizzate a Pozzallo-Modica». Per Piantedosi l'efficacia è la stessa: si tratta di «strutture dove si trattengono le persone nel tempo necessario per svolgere in maniera accelerata le procedure di identificazione e di gestione della domanda di asilo». Strutture, come anticipato, dove non arriveranno «le categorie vulnerabili»: ossia minori, donne incinte e i disabili.

Emersi sempre ieri, poi, i dettagli del protocollo: normato da 14 articoli, resterà in vigore «per 5 anni», rinnovabili di altri 5 «salvo che una delle parti avvisi entro 6 mesi dalla scadenza» l’intenzione di non rinnovarlo. L’Italia, come si legge, si impegna a restituire «le aree» dedicate ai centri per i migranti a chiusura dell’accordo. La finalità di ciò che è stato siglato tra Italia e Albania è quella spiegata da Giorgia Meloni ed Edi Rama: rafforzare la cooperazione bilaterale tra i due Paesi «in materia di gestione dei flussi migratori provenienti da Paesi terzi», in conformità – questo è un elemento fondamentale, inserito all’articolo 2 – «al diritto internazionale e a quello europeo». L’intesa tra Italia e Albania per la realizzazione di due centri per la gestione dei migranti è siglata, infatti, «in osservanza degli accordi internazionali nell'ambito della tutela dei diritti dell'uomo e, in particolare, nell'ambito della migrazione».

Per ciò che concerne l’attività delle strutture per le procedure di frontiera o di rimpatrio dei migranti in territorio albanese «saranno gestite dalla competente autorità della parte italiana» e tutto ciò che si svolge all’interno, incluse le controversie che possono insorgere con i migranti accolti, «sono sottoposte esclusivamente alla giurisdizione italiana». E ancora: tutti i costi di costruzione e gestione delle strutture, il trasferimento dei migranti, l’erogazione di servizi sanitari, saranno «totalmente a carico della parte italiana». All’interno dei centri previsti dall’accordo il diritto di difesa è assicurato consentendo l’accesso alle strutture di avvocati e ausiliari, organizzazioni internazionali e agenzie Ue che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale.

I migranti, come è stato già spiegato, potranno restare non oltre il periodo massimo di trattenimento consentito dalla vigente normativa italiana. Per ciò che riguarda gli arrivi di migranti in Italia, al 6 novembre ne sono sbarcati 145.314 migranti, a fronte degli 88.095 e dei 54.733 sbarcati nello stesso periodo dei due anni precedenti. I rimpatri al 31 ottobre sono 3.960, a fronte dei 3.410 nel periodo corrispondente dell'anno scorso. «In dati assoluti si tratta di numeri non elevati – ha chiosato Piantedosi –, indicativi però di un’inversione di tendenza inconfutabile». Interessante è la percentuale dei transitati nei Cpr: il 70%, «a conferma che mediamente si riesce a rimpatriare il 50% dei trattenuti in queste strutture».

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