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Napolitano e la telefonata con Mancino: schiaffi a Cav, Di Pietro e pm

Giulio Bucchi
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di Andrea Scaglia   Ma che cosa avrà detto l'uomo del Colle sui pm di Palermo? E davvero ha riservato a Berlusconi «commenti taglienti»? Come pure a Di Pietro? Le telefonate di Napolitano, dunque. Conversazioni intercettate fra il capo dello Stato e Nicola Mancino, ministro dell'Interno nel '92 e indagato per falsa testimonianza dalla Procura siciliana nell'inchiesta sulla cosiddetta  “trattativa Stato-mafia” - quella che, secondo i magistrati, sarebbe stata intavolata proprio nel '92 fra boss e apparati dello Stato per il tramite di Marcello Dell'Utri, con i primi decisi a intimorire le istituzioni a suon di bombe e stragi, ed è stato chiesto il rinvio a giudizio per dodici fra boss e politici e generali dell'Arma. Comunque: Mancino è accusato di non aver detto tutto di quel che sapeva, dunque falsa testimonianza, e a inchiesta in corso telefonò più volte al Quirinale, parlando con il consigliere del presidente Loris D'Ambrosio e a lui esprimendo le sue preoccupazioni, fino a chiedere un intervento dello stesso Napolitano (D'Ambrosio è poi morto d'infarto lo scorso 26 di luglio). È poi emerso che effettivamente Mancino e Napolitano si sentirono direttamente al telefono - si parla di due chiamate - ed essendo intercettato il primo, sui nastri restò incisa anche la voce del secondo. Da qui uno scontro durissimo fra Colle e Procura, con il primo a sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale per via del fatto che - sostiene Napolitano - il presidente della Repubblica non può essere intercettato se non in casi eccezionali, e dunque quei nastri - che i pm hanno definito non penalmente rilevanti - andavano subito distrutti: «Non ho nulla da nascondere - ha poi spiegato - ma un principio da difendere, di elementare garanzia della riservatezza e della libertà nell'esercizio delle funzioni di capo dello Stato. Mi spiace che da parte di qualcuno non s'intenda la portata della questione».  Non è poi un mistero che con quel pronome si riferisse al fronte giornalistico e politico - dal Fatto Quotidiano a Di Pietro - che da mesi  chiede invece che quelle conversazioni vengano rese pubbliche, «onde evitare - come ha scritto Antonio Padellaro, che del Fatto è direttore - che sul nulla di telefonate certamente limpide si costruiscano illazioni avvelenate». (Peraltro la polemica si è poi oltremodo ingigantita, con l'ex magistrato nonché ex presidente della Camera ed eminente esponente del Pd Luciano Violante - che in parecchi considerano agli inizi dei Novanta il fondatore del “partito dei giudici” prima della riconversione garantista - a sostenere che «Di Pietro, Grillo, il Fatto Quotidiano costituiscono uno schieramento politico-mediatico che ha l'obiettivo di usare i processi in corso contro il governo: vogliono abbattere Napolitano e Monti». Tesi, questa, sostenuta anche dal fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: «Si tenta di indebolire il Quirinale per creare una situazione di marasma dal quale deriverebbe la caduta di Monti». E Travaglio che risponde, e Mauro che li arruola nella «nuova destra», e insomma botte da orbi). Questo il quadro. E però gli spifferi si fanno sempre più forti. Giusto ieri lo stesso Di Pietro, ospite di Radio24, ha ipotizzato che in quelle telefonate «Napolitano si sarà lasciato scappare qualche parolaccia di troppo nei confronti dei magistrati». E ancora: «La Procura ha detto che non c'è niente di rilevante, lui non ha nulla da temere sul piano giuridico. Lo avrà fatto per ragioni sue personali».  E in effetti la  supposizione del leader Idv è intonata con il servizio pubblicato da Panorama in edicola oggi. In cui il settimanale offre una «ricostruzione esclusiva» delle telefonate fra Napolitano e Mancino. Rifacendosi a fonti ritenute evidentemente affidabili, si sostiene che quelle intercettazioni contengano fra le altre cose «giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo». C'è da dire che nell'articolo Panorama utilizza sempre il condizionale e non riporta virgolettati. E però riferisce di telefonate avvenute fra il novembre 2011 e l'aprile 2012. Napolitano e Mancino sono  amici di vecchia data, e nelle conversazione il presidente avrebbe usato anche toni non propriamente istituzionali, di fatto sfogandosi. Così avrebbe in qualche modo rimarcato come l'ex premier Berlusconi, visti gli scandali in cui è rimasto coinvolto, abbia rovinato l'immagine dell'Italia. E poi d'altro canto, riferendosi a Di Pietro e ai magistrati, avrebbe sottolineato come il fronte cosiddetto giustizialista - dall'ex pm al Fatto - abbia nei fatti impedito la nascita in Italia di una sinistra davvero riformista. Nulla di penalmente rilevante, e però forse politicamente imbarazzante. Anche se è da ripetere che trattasi di telefonate private, dove inevitabilmente i toni risultano - come dire - meno formali. E sul motivo per cui Panorama ha deciso di pubblicare il servizio titolando “Il ricatto a Napolitano” - titolo invero piuttosto pesante - il direttore Mulè spiega che «tenere sulla graticola il presidente, anche solo sussurrare “che cosa ci sarà nelle intercettazioni”, equivale a cercare di menomare o comunque a interferire sulla sua condotta». Tornando al conflitto d'attribuzione sollevato davanti alla Consulta: il primo round, vale a dire la valutazione sull'ammissibilità del ricorso, si svolgerà il 19 settembre. Sì, di botte ne voleranno ancora. In senso figurato. Si spera.  

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