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Giuseppe Conte, dopo Beppe Grillo il colpo di grazia firmato Senaldi: "Furto senza destrezza di un leader improvvisato"

Giuseppe Conte  

Pietro Senaldi
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E adesso si vedrà di che dignità è fatto il fu avvocato del popolo. Dopo gli schiaffi che Grillo gli ha dato in piazza, all'ex premier restano tre opzioni: abbandonare la politica, sfidare apertamente il fondatore in una guerra all'ultimo sangue per soffiargli la sua creatura, salutare e provare a creare una cosa sua. La quarta, sottomettersi, significherebbe imboccare una strada senza uscita e gli garantirebbe una vita d'inferno. È chiaro a tutti infatti che Conte Giuseppe non diventerà mai il marchese del Grillo, nel senso del capo incontrastato investito dal guru. Non poteva andare diversamente. Il fatto che la buona sorte gli abbia permesso di essere senza soluzione di continuità premier di un governo sovranista e di uno di sinistra spinta ha illuso l'apprendista leader di Volturara Appula che per guidare un partito fossero sufficienti un bel ciuffo, una buona parlantina, un consenso non testato dalle urne, il sostegno di Rocco Casalino e la benedizione di Marco Travaglio. Il confronto con la realtà ha schiantato l'ex premier. Sognava di essere uno statista, si è svegliato coperchio di una scatola vuota, un generale senza truppe né armi. In politica l'esercito sono i parlamentari e gli amministratori locali e le munizioni sono i voti. Conte non ha né gli uni né gli altri.

 

 

 

Il bluff

Una leadership si costruisce negli anni, non è il risultato di un lavoro di rifinitura sullo sforzo altrui. L'ex premier ha tentato il furto senza destrezza. Ha visto Grillo in difficoltà e ha finto di corrergli in soccorso: ti salvo io, tu in cambio dammi le chiavi della cassaforte, tutto quello che c'è dentro e i documenti che attestano che è mio. Il guru, che è pazzo ma non scemo, lo ha guardato, deve aver avuto il dubbio che il vero comico fosse quello che gli stava davanti, e l'ha mandato a stendere. «Devi studiare, non sai cos' è il Movimento», è stata la sentenza con la quale Beppe ha svelato il bluff di Giuseppe, il quale è un notabile meridionale di media caratura e democristiana natura, che ha in comune con il popolo dei vaffa solo il fatto di averne ricevuti tre in meno di due anni: da Salvini, da Renzi e da Draghi, che in un amen gli ha piallato tutta la struttura di potere, i soli uomini che gli dovevano qualcosa. Indipendentemente da come finirà, siamo alla divisione delle spoglie, con la possibilità che, tra i due litiganti, goda il terzo, Di Maio. A differenza di Conte, Luigi conosce bene M5S, al punto di essersi tolto la cravatta un anno e mezzo fa e averne lasciato la guida, non mettendo la faccia sul crollo del palazzo. La sensazione è però che il ministro degli Esteri sia troppo furbo e pragmatico per riprendersi i grillini. Lo vedrei meglio a inventarsi qualcosa per portare i voti della Campania a Salvini e al centrodestra.

 

 

 

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