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Vaccino, Pietro Senaldi: "Serve la terza dose, ma Roberto Speranza non sa come farla"

Pietro Senaldi

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«È uno scenario verosimile che tutti dovremmo fare la terza dose». Lo ha detto il portavoce del Comitato Tecnico Scientifico e presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro; in altre parole, l'uomo che  ha l'autorità medica più importante a livello istituzionale nella lotta alla pandemia. La premessa è che, da prima che venissero trovati i vaccini, Libero ritiene che l'unico modo per battere il Covid sia la profilassi collettiva. La realtà ci dà ragione: l'Italia sta contenendo il virus meglio degli altri Paesi grazie al fatto che l'83% della popolazione sopra i dodici anni si è protetto e il Green pass limita le occasioni di contagio, ammettendo nei luoghi affollati solo chi si è immunizzato e pertanto contagia meno, si ammala meno e meno gravemente. Questo non toglie che le parole di Brusaferro, per i modi, i tempi e i luoghi, siano inopportune.

 

 

È vero che la vaccinazione ha un effetto limitato nel tempo, intorno ai sei-otto mesi, che si esaurisce per i più anziani prima che per i giovani e che, come ha detto a Libero il professor Remuzzi, la terza iniezione si fa per tante patologie e spesso è decisiva. È anche vero che i contagiati stanno leggermente aumentando, proprio in coincidenza con la fine della protezione per i primi vaccinati e perciò i medici, e molti anziani, hanno già fatto la terza dose senza porsi problemi. Tuttavia, neppure un marziano ignorerebbe che la immunizzazione di massa in Italia è un tema caldo, un argomento divisivo, che ha assunto connotati politici, con ex brigatisti, centri sociali e neofascisti che cercano di impadronirsi della protesta e trasformarla in un movimento anti-governativo senza che le piazze No vax riescano a impedirlo. L'unica arma carica che hanno gli anti-iniezione è la comunicazione ondivaga, poco trasparente, parziale e contraddittoria che il governo Conte 2 aveva fatto quando iniziarono le vaccinazioni e che il generale Figliuolo impiegò mesi a correggere, incorrendo anch' egli in due o tre clamorose gaffe iniziali.

 

 

I No vax sono complottisti, sospettosi, ipercritici. Oltre che, almeno una parte di essi, dei gran rompiballe, che da quattordici settimane consecutive ci infelicitano il sabato con le loro petulanti manifestazioni. Rimproverano al governo scarsa chiarezza. Sostengono che esso li manipola e li prende in giro perché, pur dando loro il diritto di non sottoporsi all'iniezione, gli inibisce una vita normale, senza però assumersi la responsabilità di introdurre l'obbligo di vaccinazione. Molti di loro non si convinceranno mai, come dimostra il fatto che, perfino dopo l'introduzione del Green pass per accedere ai luoghi di lavoro, non c'è giorno in cui le terze dosi somministrate non superino le prime. La maggioranza degli italiani comincia a non sopportarli più, mentre una parte minore di vaccinati si sforza di capirli e dà loro qualche ragione sul Green pass.

 

 

Il ruolo del governo, finché non deciderà l'obbligo di profilassi, non è andare allo scontro con chi rifiuta la siringa ma tentare la persuasione, almeno a quanto dicono gli stessi rappresentanti dell'esecutivo. Sicuramente perseguire l'approccio alla pandemia del fu premier Conte, che prima biascicava un provvedimento per capire quanto fosse mediatico, poi lo annunciava per vedere l'effetto che faceva, quindi lo ritirava per placare gli animi, infine lo riproponeva di soppiatto, porta caos e sfiducia in tutti; tant' è che l'avvocato Giuseppe è caduto proprio per il suo modo di fare personalistico. Se non vuole aumentare la confusione e ci tiene a che gli animi si esacerbino ulteriormente, il premier Draghi - non Speranza, che non è in grado, anzi è parte del meccanismo perverso - metta un bel bavaglio a Brusaferro e ai suoi medici burocrati. La comunicazione in pandemia è questione da premier, non da gufi o portatori di lutti. Solo così riusciremo a evitarci la terza guerra mondiale sulla terza dose. 

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