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Giovanni Tria, prima intervista dopo le "dimissioni": "Perché resto, nel 2019 crescita all'1,6%". Disastro

Giulio Bucchi
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Finalmente parla Giovanni Tria. Dopo due giorni di silenzi e retroscena terrificanti, il ministro dell'Economia esce dal suo isolamento e spiega il Def con deficit al 2,4% che secondo più fonti incrociate l'ha portato a un passo dalle dimissioni. Nell'intervista al Sole 24 Ore c'è però un grosso, grossissimo problema. Leggi anche: "Arriveranno giorni peggiori di questi". La spallata che terrorizza il Colle L'unico punto (politico) che lo pone in linea con i colleghi e soprattutto con Paolo Savona, titolare degli Affari Ue da molti indicato come il "ministro ombra di via XX Settembre", è la tesi secondo cui senza un accordo sulla manovra "avremmo avuto un rischio di instabilità politica e ancora bassa crescita". Tradotto: governo a casa, nuove elezioni, incertezza sui mercati. E qui si spiega anche la decisione di restare al suo posto. Il vero guai viene quando Tria spiega nel merito tecnico l'obiettivo di questa manovra: "Puntiamo su una crescita all'1,6% nel 2019, con il rilancio degli investimenti". Lo stesso Savona, in una contemporanea intervista al Fatto quotidiano, ha però fissato altri numeri: per stare a galla serve una crescita al 3% già dal 2019, altro che 1,6%. Troppo realista Tria o troppo ottimista Savona? L'impressione è che alla fine non ne possa che restare uno solo, come nel film-cult degli anni 80 Highlander: qualche testa rotolerà.

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