Crisi economica? Per far ripartire l'Italia servirà l'unità del Paese
Nei prossimi 30 giorni ci sarà la raffica di giudizi dei tre numeri uno mondiali della valutazione dei rating di nazioni e imprese. Sono in molti a nutrire il timore che possa esserci un arretramento del giudizio sull’Italia che - nel caso avvenisse - creerebbe non pochi grattacapi ai nostri conti pubblici che verrebbero gravati da tassi più elevati da riconoscere ai rinnovi dei titoli pubblici in scadenza. Titolo che all’incirca ogni anno corrispondono a un quinto del totale ovvero circa 550 miliardi e che anche un solo punto in più peserebbe circa 6 miliardi anno. Quali possano essere le motivazioni che spingerebbero “le tre sorelle”, o anche solo una o due, a declassare il nostro Paese è abbastanza facile ipotizzarlo.
Il rallentamento dell’economia globale, trascinato dalla Cina, in ambasce per l’immobiliare in costante rischio default, e la crisi della Germania che sta spingendo la nostra economia di stampo manifatturiero a un arretramento che per fine anno potrebbe aver rosicchiato quel +06-08% di Pil, già ridotto di un bel po’ nel I semestre e in ulteriore fase di rallentamento nel III quadrimestre. A pesare in negativo vi sono anche altri fattori come il tema delle riforme strutturali che langue, l’inflazione che persiste e infine un indice demografico ultra ristagnante e un tasso d’invecchiamento che già nei prossimi 10 anni corroderà sensibilmente il sistema previdenziale. Il Governo si muove con accortezza nella preparazione dei contenuti della Legge di Stabilità, ma è gravato dalle spinte delle forze politiche che lo sostengo e da aggravi di natura esogena all’Italia - ossia la ripresa dei costi energetici, che imporrebbe nuove forme di sostegno ai ceti meno abbienti, che ormai rappresentano ben oltre il 40% del totale delle famiglie italiane. In questa delicata situazione a spingere verso un appesantimento i costi di esercizio ordinario si potrebbe aggiungere una notevole crescita delle crisi d’impresa, dovute al rallentamento della domanda interna e dell’export e di riflesso degli ordini, con forti riflessi sull’occupazione e quindi anche sul reddito delle famiglie.
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A fare la differenza in positivo dovrebbero pensarci le associazioni datoriali delle partite Iva, se, comprendendo lo scenario, si attivassero sugli associati per stimolarne non solo la resilienza ma anche un ricorso a mezzi finanziari propri per sostenere le imprese e renderle più forti appena la ripresa dovesse ridare cenni di vitalità, ovvero nella seconda parte del 2024. Altrettanto rilevante il ruolo dei sindacati dei lavoratori che dovrebbe essere mirato, pur con i distinguo del caso, ad evitare azioni antigovernative. L’Italia è una nazione che, pur nelle marcate differenziazioni tra Settentrione e Meridione, ha le condizioni per tenere la barra dritta e ridarsi slancio, uno slancio che deve avere come comune denominatore un senso di appartenenza che rema in un senso unico e che sa comprendere in ogni tempo quanto sia opportuno limare le richieste ed accettare i sacrifici. Purchè motivati.
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