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Vladimir Putin, "come è bello morire": copiature di Hitler e Vangelo, il delirio dello zar ai raggi X

Francesco Carella
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In un discorso di pochi minuti - destinato sicuramente ad occupare un capitolo importante nei libri di storia del futuro - Vladimir Putin ha chiarito senza ombra di equivoci quali sono i suoi obiettivi non soltanto di ordine militare, ma soprattutto di carattere politico e culturale. Il nuovo zar ha confermato di avere studiato la lezione del filosofo russo Alexander Dugin e di avere pienamente assimilato la nuova visione del mondo che il professore ha elaborato nel suo libro La Quarta teoria politica. Una dottrina che si rifà al comunitarismo e allo spiritualismo e che individua nell'Illuminismo e nell'idea della centralità che la cultura occidentale assegna all'individuo e alle sue libertà il nemico principale da combattere.

Infatti, Putin afferma disconoscendo un principio cardine dei sistemi democratici, ossia il valore della sovranità territoriale che «gli abitanti della Crimea vogliono vivere nella loro Terra e con la propria patria storica, la Russia». A leggere quel che disse Adolf Hitler nel 1938 quando i nazionalsocialisti occuparono la regione dei Sudeti- abitata per buona parte da una popolazione di lingua tedesca - si rimane interdetti per le somiglianze di linguaggio e di contenuto. «I tedeschi di quella regione vogliono unirsi alla loro patria ed è per questo che il Terzo Reich ha agito in tal modo, ignorando il parere degli altri Paesi europei». Ma le similitudini non finiscono qui.

 

 

La Russia, secondo Dugin, deve nel suo nuovo corso mandare in soffitta concetti caduti in desuetudine quali fascismo, nazismo, liberalismo e divenire punto di riferimento di coloro che non si riconoscono nelle degenerazioni del globalismo e dell'Occidente capitalista malato. Sembra di sentire parlare il Patriarca Kirill. Ancora Putin: «Kiev organizza azioni militari punitive nel Donbass e noi siamo intervenuti per fermare un vero genocidio dei nostri fratelli russi. Pertanto, porteremo a termine i nostri piani». Dalle parole di Putin s' intuisce che ciò che conta è la comunità russa e russofona ovunque si trovi. Essa riconosce la Chiesa ortodossa quale unica e autentica interprete dell'unità spirituale del popolo.

In tal senso, non vi è da stupirsi se nel breve discorso di ieri il numero uno del Cremlino abbia, parafrasando un passo del Vangelo di Giovanni, sottolineato che «non c'è valore più grande che dare la propria anima per l'amore degli amici. Si tratta di un valore universale che anima il popolo russo e che sostiene un'unità che non si vedeva da tempo». Si tratta di concetti che riconducono a una volontà di potenza di cui si era persa traccia in Occidente dagli anni del nazionalsocialismo. Siamo andati in queste ore a rileggere una lettera che Adolf Hitler invia all'esercito tedesco riunito in un seminario nel 1919 e che costituisce una testimonianza scritta di notevole valore storico sul tema della dichiarata superiorità di un popolo e della necessità che essa venga affermata in tutti i modi, anche stracciando le regole della comunità internazionale.

 

 

In quella missiva, il futuro dittatore sostiene «la necessità di combattere gli ebrei con strumenti razionali, per affermare i valori della comunità germanica in ogni luogo possibile». Come s' intuisce da questi passaggi era davvero difficile coltivare dubbi sui suoi propositi. Tuttavia, nessuno dei leader delle democrazie del Vecchio continente ne comprese appieno le potenzialità distruttrici. Si raggiunse il culmine della sottovalutazione nel settembre 1938, quando con il Patto di Monaco le democrazie avallarono il forzato passaggio della regione dei Sudeti alla Germania. Pure all'epoca la cosa avvenne in nome del «desiderio di unirsi alla patria storica». Sono gli stessi termini utilizzati da Vladimir Putin nel suo discorso a proposito della Crimea e del Donbass. La verità è che l'ex ufficiale del Kgb parlando alla nazione ha confermato ciò che la storia dei dittatori ha molte volte dimostrato, ovvero che la politica di potenza ha sempre bisogno di elevare spiritualmente il proprio popolo per schiacciarne altri. È accaduto con il nazionalsocialismo, potrebbe accadere di nuovo con la politica aggressiva della Russia.

Se nella società tedesca non ci fosse stata un'ampia disponibilità, diffusa anche fra i più scettici e i più tiepidi, a lavorare per il Führer - in modo diretto o indiretto - il potere personale esercitato da Hitler non avrebbe goduto di solide basi sia sociali che politiche. Egli non fu un tiranno imposto alla nazione - come scrive lo storico Ian Kershaw - ma un leader sostenuto dalle masse tedesche. Ed è ciò che sta avvenendo, nonostante qualche episodio di eroica resistenza, in questi giorni a Mosca. Le parole di Putin vengono accettate perché appartengono all'album di famiglia: sono parte integrante di un'eredità storica riemersa con forza alcuni anni dopo il crollo dell'Unione Sovietica del 1991. Anche i russi, al pari dei tedeschi al tempo del Terzo Reich, sono animati dall'idea d'incarnare una millenaria cultura moralmente superiore rispetto a quella «dell'Occidente degradato», per dirla con le parole del Patriarca ortodosso Kirill. 

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