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Kiev, la provocazione: se entra nella nato, la guerra finisce subito

Fabrizio Cicchitto
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Prima la pandemia, poi l'invasione dell'Ucraina: dalla Cina e dalla Russia sono venuti i due shock, di segno molto diverso, che hanno sconvolto la relativa stabilità che aveva caratterizzato il mondo dopo il crollo del comunismo in Russia e nei paesi dell'Europa dell'Est. Si può parlare di relativa stabilità perché in mezzo c è stata un altra vicenda devastante, cioè l'esplosione del terrorismo islamico.

 

Comunque Vladimir Putin almeno fino al 2008 aveva seguito una linea assai prudente che aveva portato all'incontro di Pratica di Mare con George W. Bush promosso da Silvio Berlusconi. Al contempo, però, Putin aveva portato avanti un'elaborazione ideologica e una conseguente dottrina militare fondate su una valutazione del tutto negativa dell'Occidente libertino scorretto, incapace di rispondere sul terreno della forza mentre le liberaldemocrazie possono essere manipolate attraverso il sistematico uso di hacker, troll, blog (vedi sull'argomento Brigate Russe, di Marta Ottaviani).

 


Putin, ispirato dall'intenzione di ricostruire la "Grande Russia" ha alzato il tiro dopo la Rivoluzione arancione del 2014: da un lato l'occupazione militare della Crimea, fatta in totale dispregio delle regole, e dall'altro l'apertura di una guerra civile nel Donbass. Poi, con l'operazione militare speciale, Putin ha tagliato la testa al toro. L'attuale sconquasso deriva però da due valutazioni sbagliate: Putin era convinto che l'operazione si sarebbe risolta in un blitz di pochi giorni perché il governo Zelensky e l'esercito si sarebbero arresi e il popolo ucraino avrebbe acclamato i liberatori. Invece è accaduto esattamente l'opposto nel senso che si è scatenata una resistenza spontanea che ha fatto saltare la seconda previsione di Putin, che i governi dell'Occidente avrebbero subito con felpate proteste.

Ma la resistenza ucraina guidata da un grande comunicatore quale è Voldymyr Zelensky ha svegliato "il cane che dormiva", cioè l'Occidente che ha preso coscienza che erano in ballo fondamentali valori di libertà, ma anche che, se non si ferma Putin, poi toccherà alla Moldavia e ai Paesi baltici. Ciò detto, quale è la via d'uscita? I richiami alla discesa in campo della diplomazia fatti da pacifisti autentici o in malafede sono esercizi retorici. Ele manifestazioni ha senso farle nel Paese aggressore, per fargli cambiare posizione. Invece oggi in Russia se chi non condivide l'operazione militare speciale (già se usi la parola guerra finisci in carcere) scende per strada viene bastonato e arrestato. Allora le manifestazioni pacifiste fatte solo in Italia hanno un unico scopo: quello di fare pressione sul governo perché non invii più armi agli ucraini. Ma allora saremmo davanti a una totale eterogenesi dei fini: il risultato sarebbe il disarmo degli ucraini per arrivare alla cessazione delle ostilità attraverso la loro resa.

E allora? Avanziamo un'ipotesi solo apparentemente azzardata: l'unica via è quella di un'immediata ammissione dell'Ucraina alla Nato (con il conseguente controllo sulle sue attività militari esplicite e segrete) con l'obiettivo di arrivare a una tregua fondata sulla reciproca deterrenza. Si determinerebbe così una sorta di status quo, si smetterebbe di sparare e ancor di più di progettare escalation che comprendono addirittura l'uso delle armi nucleari. Nel contempo, l'Ucraina sarebbe messa in condizioni di sicurezza anche rispetto a possibili escalation di altro tipo come l'uso congiunto dei missili, dei bombardamenti e della discesa in campo dei 300mila riservisti. Di conseguenza, l'ingresso dell'Ucraina nella Nato non si tradurrebbe nell'estrema provocazione alla Russia come sostengono alcuni idioti. Sarebbe l'unica via per arrivare a una tregua che vorrebbe dire stop ai morti, stop alle distruzioni e fine di ogni minaccia dell'uso delle armi atomiche.

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