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Russia, il generale Capitini: "Perché a Putin conviene che la guerra duri"

Mirko Molteni
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Sul fronte russo-ucraino sembrano balenare avvisaglie dell’annunciata offensiva di Kiev, ma la realtà è più complessa. Al proposito, abbiamo intervistato il generale dei bersaglieri Paolo Capitini, docente alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo, nonché reduce da missioni all’estero (Somalia, Bosnia, Kosovo, Ciad, Repubblica Centro Africana, Haiti e Libia).

Generale, la stampa occidentale sta esagerando la portata delle recenti pressioni ucraine sul fronte?
«Sulla controffensiva ucraina c’è un equivoco lessicale. Le attuali iniziative ucraine sul fronte sono ricognizioni in forze, cioè poco più che punzecchiature. Il fronte ucraino è lungo 850 km e il settore attivo è costituito da 25 km attorno a Bakhmut. Se si parla di avanzate ucraine in aree ampie 2-3 km, si parla della gittata di un missile anticarro, quasi nulla. Gli ucraini stanno attuando quelle che si chiamano ricognizioni armate per avere informazioni aggiuntive sulle forze russe. Satelliti e intercettazioni radio dicono quali unità sono schierate in ogni settore. Ma le ricognizioni armate servono a saggiare le difese russe per capire come reagiscono, qual è la loro prontezza o quale la loro potenza di fuoco».

Quali mosse sono alla portata dell’esercito ucraino?
«Gli ucraini hanno due opzioni: obiettivi territoriali oppure annientamento di forze nemiche. Nel primo caso, un obiettivo realistico è avanzare da Kherson su Nova Kachovka per prendere il canale che alimenta gli acquedotti della Crimea. Se gli ucraini chiudono il canale, assetano la Crimea, come negli antichi assedi, quando si tagliava l’acqua al castello nemico. Possono anche distruggere il ponte di Kerc, ma non possono assediare direttamente Sebastopoli, piazzaforte che causò perdite gravissime nel 1854 agli anglofrancesi e nel 1942 ai tedeschi. Altro obbiettivo territoriale sarebbe Berdjansk, sulla costa del Mar d’Azov, tagliando il ponte di terra conquistato dai russi. Potrebbe significare la vittoria, in teoria, ma i russi hanno rafforzato le difese con trinceramenti. Nel caso dell’opzione contro-forza, gli ucraini punterebbero su Bakhmut dove ci sono le truppe russe migliori, i mercenari Wagner e i paracadutisti VDV, che in questi giorni le stanno prendendo e in più scontano mancanza di coordinamento per le note rivalità. Se queste forze vengono battute a Bakhmut, può esserci un effetto cascata nel resto dell’esercito russo».

Di solito chi attacca deve mobilitare il triplo delle forze del difensore. Come possono gli ucraini accumulare truppe in poco tempo?
«Possono concentrare truppe e mezzi in un ristretto settore, per una superiorità solo locale, ma l’Ucraina inizia a scarseggiare di uomini da arruolare. Inoltre, se l’Europa parla di fornire a Kiev 150 mezzi corazzati, dall’altro lato la Russia ha un piano industriale per arrivare a costruire 150 mezzi corazzati al mese. Vuol dire che, in futuro, può darsi che forniture occidentali di vari mesi finiscano con l’equivalere alla produzione russa di un solo mese. In Occidente abbiamo quasi finitole armi e per le prossime consegne si parla del 2024».

Sarà una guerra di lunga durata?
«Sia l’esercito ucraino sia quello russo sono indeboliti. Gli ucraini scarseggiano in quantità, i russi sono inefficienti nella catena di comando e hanno una logistica affaticata, sebbene più numerosi. Se l’esercito di Kiev avanza fino all’istmo di Crimea, cambia poco, perchè i russi semplicemente creano una nuova linea difensiva 50 km più indietro e continuano la lotta. Per gli ucraini è inoltre difficile traversare il fiume Dnepr, largo 4 volte il Po, e se arrestati sulla riva opposta vanno in disfatta. I russi possono allora avanzare di 20 km e trincerarsi di nuovo. Alla Russia conviene prolungare la guerra il più possibile».

Il tempo, quindi, alleato del Cremlino, come contro Napoleone e Hitler?
«Più la guerra prosegue, più è l’Ucraina a logorarsi in misura maggiore della Russia. Inoltre Mosca ha potuto, grazie alla guerra, proporsi a gran parte del mondo come paladina dell’antiamericanismo e estendere rapporti commerciali con molti Paesi, anche aumentando i già ingenti scambi con la Cina. Alla lunga, col passare del tempo, mi sembra siano gli Usa e la Nato a logorare la propria forza militare, fornendola all’Ucraina, più di quanto si logori l’arsenale russo».

Quanto contano la Turchia con Erdogan al bivio e la Cina preoccupata dall’ufficio Nato che sarà aperto in Giappone?
«Se in Turchia si riafferma Erdogan, non cambia nulla. Il paese seguiterà a giostrarsi su due tavoli, Nato e Russia. Per Erdogan è difficile vincere le elezioni dopo il terremoto di pochi mesi fa. Se vince il rivale Kilicdaroglu, può cambiare qualcosa, ma non tutto. La Turchia cercherebbe ancora di mediare fra Mosca e Kiev, allontanandosi un po’ dalla Russia, ma non di tanto. La geopolitica non cambia dall’oggi al domani. Quanto alla Cina, il teatro ucraino e quello pacifico sono legati. La maggior crisi s’avrà quando la Cina deciderà di spezzare il contenimento strategico degli alleati degli Usa, anche conquistando Taiwan e scontrandosi con gli Stati Uniti. Per l’America la guerra in Ucraina è secondaria rispetto al pericolo di una guerra Usa-Cina. È un modo d’impegnare il maggior alleato di Pechino, cioè Mosca». 

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