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Armenia tradita da Putin: in nome della pace, cede un pezzo di se stessa

Renato Farina
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Qualcosa si muove nel Caucaso del Sud, e per fortuna non si tratta di spostamenti di truppe, ma di promettenti e in parte riusciti tentativi di dialogo per stabilire una pace durevole tra Azerbaijan e Armenia. Una notizia dolce in tempi amarissimi. Ma c’è un problema, un'incognita, e una palpabile inquietudine per il prezzo tremendo che Erevan, capitale della Repubblica d’Armenia, ha accettato di pagare: il Nagorno-Karabakh è stato riconosciuto dal governo guidato da Nikol Pashinyan come territorio appartenente a pieno titolo all’Azerbaijan.

Agli inizi degli anni ’90, questa enclave da millenni cristiano-armena, sopravvissuta nei secoli alle ondate dell’oceano turco, fu infine consegnata da Stalin, con uno scherzo atroce e ben calcolato, alla Repubblica socialista dell’Azerbaijan. Allo sfaldarsi dell’impero sovietico, dopo essersi proclamata Repubblica Indipendente dell’Artsakh, a seguito di un referendum, il suo popolo affermò con una guerra spietata la prerogativa dell’autodeterminazione. Vinse. Per garantirsi sicurezza e collegamenti vitali con Erevan, occupò province azere, abbandonate dalla popolazione di ascendenza turca e sciita. Il diritto internazionale che in Kosovo ha funzionato per garantire indipendenza, stante la volontà della popolazione di etnia albanese, qui invece ha privilegiato l’Azerbaijan.

Si chiamano rapporti di forza. Le trattative per sistemare la questione, condotte da un gruppo di nazioni, oltre a quelle direttamente interessate, sono state ciclicamente bloccate per aggressioni militari azere, e sempre respinte. Non così nella guerra lanciata nel settembre del 2020 e conclusasi nel novembre dello stesso anni con la capitolazione dell'Armenia.

 

 

LO ZAR SI VOLTA DALL’ALTRA PARTE - La Russia, che secondo patti vincolanti di alleanza militare, avrebbe dovuto provvedere a fermare l’esercito di Alyiev, rafforzato da tagliatori di teste siriani inviati dalla Turchia, ha lasciato fare, e soltanto all’ultimo istante, per evitare un massacro, si è interposta, costringendo a un accordo di tregua, sorvegliato da duemila militari russi. I quali dal dicembre scorso hanno consentito a militanti “ecologisti” (sic) azeri di stringere in assedio, e prendere per fame, i 120mila armeni cristiani, in violazione dei patti e nonostante l’ordine dell’Onu di interrompere questi prodromi di genocidio. Ma non è intervenuto nessuno, nessuna sanzione. Vendetta di Putin contro Pashinyan che aveva cercato e ottenuto – a chiacchiere – sostegno dall’Unione europea e bussato a Bruxelles ottenendo attenzione e promesse perché riconoscesse la parentela ideale e di civiltà tra la sua nazione e quelle europee (Venezia è la seconda capitale dell’Armenia), e riparasse alla complicità omertosa con il genocidio a opera dei turchi nel 1915 (un milione e mezzo di armeni ammazzati in quanto cristiani).

La Russia non ha gradito che l’Armenia chiedesse osservatori dell’Unione europea a vigilare i confini. L’Ue ha detto un ipocrita “oui, yawoll”, che in fondo non costava niente. In particolare l’Italia bisognosa di gas (peraltro in certa parte triangolato con la Russia, con cui Baku ha firmato uno strano occordo nella strana data del 24 febbraio 2022, per puro caso lo stesso giorno dell'aggresssione dello Zar all’Ucraina), ha trattato l'autocrazia della dinastia Alyev come partenr fiduciario. L’Italia ha addirittura stretto un accordo di partenariato militare, contraddicendo il professato programma di difesa delle identità di popoli e in particolare delle minoranze cristiane.

DOLORE E RAGION DI STATO - La notizia della rinuncia all’Artsakh ha sconvolto la vasta comunità armena sparsa nel mondo (10 milioni di persone bene integrate negli Usa, Canada, Francia, Australia, Argentina, Uruguay, in Svizzera-in Italia; presenze millenarie in Siria e in Libano e in Terra Santa). È come se le avessero asportato un polmone dal suo corpo vivo: l’Artsakh è la terra sorgiva della fede e della cultura di questa nazione. Pashinyan ha agito per necessità, e nella considerazione dei maledetti rapporti di forza, che nonostante tutti i proclami di diritto internazionale, impiccano l’Armenia all’albero degli sconfitti. Ha consegnato così l’Artsakh e i suoi 120mila abitanti alla misericordia di Ilham Alyiev e del mondo intero. Ora chiede garanzie peri suoi connazionali ormai cittadini azeri. Vorrebbe una supervisione internazionale. Alyev dice di no. Ma come? Sospettate di noi?

 

 

La nostra costituzione azera proclama l'uguaglianza. Non accettiamo interferenze straniere. Intanto con una dichiarazione spaventevole, Alyev ha chiesto agli armeni dell'Artsakh di consegnargli, in cambio di una “eventuale” aministia per i 120mila secessionisti, il presidente Arayik Haratyunyan. Almeno i veneti (ad esempio il cardinal segretario di Stato Parolin, il presidente Zaja) ricorderanno che la medesima richiesta fu fatta dai turchi capeggiati da Mustafa Pascià alla veneziana Famagosta (Cipro). Il generale Marcantonio Bragadin accettò una onerovele resa. Fu mutilato, ustionato, spellato vivo, squartato e il suo corpo buffamente ricucito fu appeso all'albero di una galea insieme a quello dei suoi ufficiali (17 agosto 1571). Poi però ci fu Lepanto (7 ottobre 1571).

PERCHÉ NOI SIAMO AMRENI - La prossima riunione per evitare una nuova Famagosta e avvicinare una pace a tutto tondo sarà presto a Chisinau, in Moldavia. Ci saranno anche Macron e Scholz. L'Italia non ha chiesto di esserci. Peccato. Come Andreotti aveva proposto per il Kurdistan l'Italia ha dalla sua la soluzione della questione della minoranza tedesca in Sud Tirolo-Alto Adige. L'accordo di Parigi tra Italia e Austria del 5 settembre 1946 detto De Gasperi-Gruber, riconoscendo la sovranità italiana fissò un’intesa sui diritti all'autonomia. L’Onu nel 1960, all’unanimità, su proposta dell'Austria volle una ripresa del dialogo con l’Italia. Qui mi sia permessa un’osservazione spero non solo personale: noi italiani non possiamo non essere spiritualmente armeni. Non possiamo estraniarci lasciando a russi, turchi, tedeschi e francesi la questione del diritto degli armeni a esistere come civiltà, come identità nella quale specchiarci con gratitudine. Hanno resistito millenni al tentativo di distruzione. Hanno sopportato eccidi, invasioni, mantenendo la fede, la lingua, un fuoco di umanità. Non permettiamo sia spento dalla nostra sete di idrocarburi (e, temo, almeno a certi livelli, fame di caviale). 

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