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G20, vince Modi e perde Zelensky: perché il vento sta cambiando

Mirko Molteni
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Modi festeggia, Putin tira un sospiro e Zelensky incassa un altro insuccesso che gli fa capire come il vento sia cambiato. Questo in sintesi l’esito della diatriba sulla dichiarazione finale del G20. La bozza originaria, che condannava la Russia è stata limata dagli sherpa, i funzionari diplomatici che fanno il lavoro di cesello, adottando il punto di vista di Indonesia, India, Brasile e Sud Africa. 

C’è solo la generica condanna dell'uso della forza nelle relazioni internazionali, senza nominare la Russia: «Tutti gli Stati devono agire in modo coerente con la Carta delle Nazioni Unite. Devono astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza per perseguire l'acquisizione territoriale contro l'integrità territoriale e la sovranità o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato. E l'uso o la minaccia di uso di armi nucleari è inammissibile». 

 

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha accettato il documento e la sherpa russa Svetlana Lukash ha parlato di «dichiarazione finale molto bilanciata». Delusa ovviamente l'Ucraina, il cui portavoce Oleg Nikolenko ha postato le frasi del G20 aggiungendo in rosso il nome della Russia. Non è l’unico segnale di un cambiamento generale attorno al conflitto. Kiev avanza sì, ma di 100 metri al giorno (Stoltenberg dixit). Mosca è economicamente rovinata, militarmente umiliata; eppure resiste. Come sempre. E la campagna elettorale americana potrebbe dare il colpo di grazia sulle (giuste) ambizioni di riconquista ucraine. Anche se non vincesse uno dei Repubblicani (magari un Ramaswamy al cui confronto Trump sembra una colombella), difficile pensare che Biden possa continuare a spendere il denaro dei concittadini per armare Zelensky. L’agenda infatti la detteranno i sostenitori della “pace”.

 

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