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Roma, i palestinesi si prendono Gesù e presepe: cosa spunta a piazza Navona

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Marco Patricelli
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Va bene che il presepe è un’invenzione di San Francesco e che il Natale è fissato al 25 dicembre per convenzione. Va bene che la neve e slitte siano a loro volta un’invenzione scenografica che però fa tanto atmosfera. Va bene pure che la stella cometa che indicò ai Re Magi la via della stalla dov’era nato il Redentore svetta oggi sull’abete della mitologia nordica e che il Babbo Natale della Coca Cola che sfreccia nel cielo con le renne abbia soppiantato Santa Klaus. Ma il presepe arabo a piazza Navona, luogo eletto dalla Befana per portare doni ai bambini e a portarsi via tutte le feste, più che specchio dei tempi è un’offesa a religione e tradizione.

Natale è la festa della cristianità, e questo vale per credenti e non credenti, che infatti vi partecipano, per quanto con spirito diverso.
Non è né la celebrazione del sincretismo aborrito da Papa teologo Benedetto XVI (ognuno si prende un pezzettino di religione che più gli garba e se ne fa una prêt-à-porter) né lo specchio deformante dei tempi e del dubbio laico. Eppure davanti al microfono di Rossella Santilli della TgR Lazio, a piazza Navona, il preseparo Emilio con orgoglio ha rivendicato che il presepe arabo quest’anno «va forte». Le case arabe, le capanne arabe, forse pure le fontane, «tutto arabo»: il Bambinello pronto a nascere ma fornito con largo anticipo con bue e asinello, culla imbottita di paglia e Giuseppe e Maria d’ordinanza.

 

 

 

Emilio si è fermato giusto in tempo prima di pronunciare sulle ali dell’entusiasmo «moschea araba», dopo case e capanne, perché forse sarebbe sembrato un po’ esagerato o forse perché i produttori di statuine neppure a Napoli hanno ancora pensato all’imam, o forse perché i canti natalizi sono ancora le novene con le zampogne e i più moderni Stille Nacht, Gingle Bells, White Christmas, Tu scendi dalle stelle, e non i melismi salmodianti dei muezzin.

Per sillogismo aristotelico, Gesù dovrebbe quindi essere arabo, mica ebreo. Qualche decennio fa i nazisti, quelli che sterminarono sei milioni di ebrei e qualche milione di europei di qua e di là, ci pensarono seriamente a sostituire la croce con la croce uncinata, e a “convertire” Gesù arruolandolo tra gli ariani. Ma che fosse ebreo, è indiscutibile, e lo dicono persino gli ebrei senza alcun problema e senza alcuna riserva mentale. Non sappiamo se il grande successo del presepe arabo di piazza Navona sia dovuto socialmente all’impennata dell’inclusione, trovando spazio nelle case e tra le famiglie musulmane in Italia assieme al panettone, al pandoro e al torrone, alle tombolate e al mercante in fiera politicamente corretto.

 

 

 

Il preseparo Emilio non l’ha detto e nessuno gliel’ha chiesto. Non sappiamo neppure se nei Paesi notoriamente di proverbiale tolleranza religiosa nei confronti dei cristiani, come quelli arabi, la versione export della rappresentazione della Natività abbia avuto o meno successo. Magari lo specialista di politica internazionale e inviato speciale dell’UE nel Golfo Persico, Luigi Di Maio il quale, considerate le origini campane, di presepi dovrebbe intendersene, potrebbe sciogliere il dubbio. Oppure. Maradona santo laico del Dio pallone è un conto, Elly Schlein «con più tette» (parole sue) pure, ma Gesù Cristo con la kefiah un altro. 

 

 

 

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