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Biden, nel mirino un "piano-Trump" che però non è di Donald: l'ultimo abbaglio

Joe Biden

Giovanni Sallusti
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L’ultimo rifugio dei bideniani contro ogni evidenza (anzitutto clinica) rischia di essere controproducente per la loro stessa causa. Meglio un vegliardo in autoevidente declino cognitivo di un mentitore, è l’ultima, spuntatissima arma delle groupie del vecchio Joe. Il quale però mostra sempre di più di avere un rapporto sfumato anche con la verità, peraltro in buona compagnia del notabilato del suo partito.

Post presidenziale su X di ieri: «Project 2025 è mortalmente serio. L’America deve svegliarsi e rendersi conto di ciò che Trump e i repubblicani MAGA stanno cercando di fare. Li fermeremo». Questo del Project 2025 è l’ultimo ballon d’essai per nutrire l’isteria liberal sul Puzzone che minaccia l’impalcatura istituzionale americana (come se peraltro non avesse già governato 4 anni, con ottima salute dell’impalcatura medesima).

 

 

 

HERITAGE FOUNDATION

Trattasi di un piano condensato in un documento di 900 pagine ed elaborato dalla Heritage Foundation, che non è un covo di nazisti dell’Illinois né di motociclisti beoni con la bandana confederata, bensì uno storico think tank conservatore con sede a Washington, fondato nel 1973 per sostenere/incalzare l’amministrazione Nixon su due direttrici principali: la libertà individuale e l’identità tradizionale americana. È anche l’asse su cui muove il famigerato Project, che prevede battaglie classiche del conservatorismo Usa come la riduzione delle strutture burocratiche federali e il ripristino della sovranità sui confini, con aumento dei finanziamenti per il Muro col Messico, oltre che proposte libertarie un po’ più hard quali l’abolizione della Fed.

In ogni caso, niente di «mortale» per la democrazia, e soprattutto niente di collegato a Trump, come ha chiarito lui stesso già qualche giorno fa: «Non so nulla del Project 2025. Non ho idea di chi ci sia dietro. Non sono d’accordo con alcune delle cose che dicono, che trovo assolutamente ridicole». Semmai, il think tank di riferimento di The Donald è l’America First Policy Institute, che è all’origine del piano di pace per l’Ucraina filtrato nelle scorse settimane (il suo ideatore, il generale Keith Kellogg, è l’ex capo dello staff del Consiglio per la Sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump) e in generale dell’agenda economica liberista del candidato del Gop: forti tagli di tasse e sensibile contenimento della spesa. Ma a quanto pare per Sleepy Joe (ché poi “addormentato” sarebbe un passo avanti, almeno non sfornerebbe gaffe dadaiste in serie) è meglio sventolare la doppia fake-news: che l’avversario stia dietro Project 2025, e che Project 2025 sia qualcosa come il fascismo in America.

Del resto, la menzogna pare ormai essere l’unico collante retorico in grado di tenere in piedi il castello di potere Dem, sempre più assediato anzitutto da crepe interne. Il mentitore più à la page è sempre lui, Barack Obama, che all’indomani della disfatta televisiva del suo ex vicepresidente si era precipitato a ribadire il sostegno via social, assicurando che «serate di dibattito negative capitano». Da un secondo dopo che ha premuto “posta”, ha iniziato a dedicarsi sistematicamente al sabotaggio della ricandidatura-Biden. Ha fatto valere tutto il proprio peso lobbistico (i grandi donatori democratici non congelano 90 milioni di dollari finché non si cambia cavallo senza che Barack lo sappia, o lo abbia incentivato). Ha mandato avanti le spalle più fidate dello star-system organico, George Clooney su tutti.

Infine, nelle ultime ore, ha semi-ufficializzato l’unità di intenti con un altro grande blocco di potere del partito, quello riunito attorno all’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, dove l’intento è uno: accompagnare nonno Joe alla porta, magari per sostituirlo con la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer (la quale ha garantito più volte di non voler correre, quindi col bis-linguaggio democratico ha messo sul tavolo la propria candidatura). Intanto, le ultime indiscrezioni fanno piazza pulita di un’altra balla: anche il leader democratico al Senato Chuck Schumer sarebbe in procinto di abbandonare il presidente, nonostante un rapporto politico e personale di vecchia data.

 

 

 

I GAZZETTIERI DEM

Tutti questi signori, e le loro gazzette di riferimento (New Tork Times in testa, ora punta avanzata del pressing su Biden perché abbandoni) sono però, ancora una volta, figli della loro stessa macro-bugia a monte. L’establishment politico-mediatico dell’Asinello vorrebbe infatti convincerci di essersi accorto genuinamente due settimane fa che il vecchio Joe non sia più in condizioni psicofisiche di incarnare il comandante in capo. Prima della débâcle televisiva tutti costoro non avevano colto alcun segnale, Biden pareva mostrare la brillantezza oratoria di Reagan e l’energia empatica di Kennedy. È il livello dell’onestà intellettuale media dell’élite progressista americana, ed è esattamente uno dei motivi per cui Trump ha il vento così a favore.

 

 

 

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