Iran, il regime barcolla: "Meglio ebrei che mullah"

I giovani persiani festeggiano i bombardamenti contro le installazioni militari. E il presidente Pezeshkian viene contestato nel Kurdistan
di Dario Mazzocchidomenica 15 giugno 2025
Iran, il regime barcolla: "Meglio ebrei che mullah"
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Ci sono i missili e i droni israeliani che piombano dal cielo e colpiscono i siti nucleari e i palazzi dove risiedono i vertici governativi e militari, con le immagini che rimbalzano tra tv, internet e giornali. E ci sono tante pericolose mine nascoste sottoterra, invisibili perché il filtro del regime tenta di disinnescarle, ma non sempre ci riesce.

Mentre le tensioni in Medio Oriente prendono i contorni di un vero conflitto, a Teheran la popolazione respira l’aria della paura che si porta dietro qualsiasi conflitto, ma spera anche in un altro colpo ben assestato che faccia barcollare e cadere a terra il clima di oppressione e di tirannia delle guide religiose e dei suoi feroci guardiani rivoluzionari.

Il grido di battaglia arriva dagli oppositori più giovani, dagli studenti della Sharif University of Technology e dai loro coetanei che superano le barriere della censura e condividono sulle piattaforme social le fiamme che avvolgono i palazzi dei Pasdaran: sono scesi in strada, sfidando i divieti e affrontando gli agenti di polizia. «Venite in strada così possiamo distruggerli», è l’appello dei ragazzi che si contrappone alla parola d’ordine categorica del regime, «resistere» all’aggressione israeliana. Nei video le forze dell’ordine si dileguano, come la difesa aerea iraniana di fronte agli attacchi di Gerusalemme.

Un’onda che monta da anni ormai e che ha anticipato, solo pochi giorni fa, l’escalation militare. Mercoledì, per esempio, il presidente Masoud Pezeshkian è stato accolto da dure proteste mentre visitava la provincia di Ilam, in Kurdistan. In prima fila sempre i giovani che lo invitavano ad andarsene: «Ilam è terra di gente coraggiosa, non di mercenari del regime dei mullah», recitavano in coro. E ancora: «Morte a Khamenei!» e «Presidente dei mullah, complice di ogni crimine, vattene da Ilam!». Il rancore corre sui muri, con i graffiti a testimonianza dell’aperta ostilità e del diffuso rancore verso le alte autorità.

Da nord a sud: martedì a Shiraz gli agricoltori della regione di Kamfiruz si sono dati appuntamento davanti alla sede del governatore per protestare contro le politiche economiche di Teheran e i contraccolpi ambientali che impattano sul settore, con una crisi idrica che mette in ginocchio una delle più importanti zone a vocazione agricola del Paese. Lo stesso giorno, in un villaggio della provincia di Kerman, nel sud-est iraniano, le proteste dei residenti contro la presenza di una miniera di cromo sono state sedate con manganelli e gas lacrimogeni dalla unità della Guardia speciale.

A maggio, nel giorno dell’anniversario della morte di Ebrahim Raisi, l’ex presidente della Repubblica islamica deceduto in un incidente aereo un anno fa, noto come il boia dei prigionieri politici, sono state organizzate 120.000 cerimonie ufficiali guastate dalle azioni di sabotaggio degli oppositori che hanno dato fuoco alle immagini di Raisi nella capitale e in molti altri centri.

Il divario tra le gerarchie e la gente comune è racchiuso nella rabbia dei cittadini che vedono crollare le accoglienti residenze dei predicatori della morale antisemita e antioccidentale che in realtà non hanno mai condiviso le fatiche del popolo, con un’inflazione che corre verso il 40% soprattutto per i prodotti alimentari, un salario medio di poco più di 100 euro al mese e un tasso di disoccupazione stimato al 9,5%. E se in Europa e in America si manifesta per Gaza senza condannare apertamente Hamas, in Iran le nuove generazioni rifiutano di aderire alle campagne propagandistiche che inneggiano proprio al gruppo terroristico finanziato dagli ayatollah.

I resoconti raccolti dai report stranieri sul territorio raccontano poi di una parte della popolazione presa di sorpresa dall’offensiva ordinata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: sono gli iraniani che non riescono a reperire informazioni dall’esterno e dunque non erano a conoscenza delle crescenti tensioni tanto con Israele quanto con gli Stati Uniti. Oggi dichiarano che questa guerra non l’hanno voluta gli iraniani – e non lo dicono per sostenere la solita versione ufficiale, secondo cui la colpa è tutta degli ebrei cattivi: l’hanno voluta i loro capi. Gli unici responsabili di ogni morte finora registrata, dicono, sono i mullah, che ordinano ai giornalisti e ai direttori delle testate di informazione di non diffondere le immagini che testimoniano gli attacchi sui siti nucleari e in altre zone della nazione. Quando però si sono sparse le voci sulla scomparsa dei comandanti delle Guardie della rivoluzione islamica, c’è chi ha festeggiato. «Possiamo distruggerli», assicurano gli universitari. Che sia davvero la volta buona?
 

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