La liturgia può ricominciare. Inizia domani l’edizione 2025 della Cop30, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che riunisce oltre 200 Paesi per discutere e negoziare politiche per affrontare i cambiamenti climatici. L’appuntamento è a Belém, in Brasile, e le cronache raccontano che la città amazzonica è alle prese con problemi infrastrutturali e ricettivi: è un anniversario speciale, perché dieci anni fa, nell’edizione di Parigi, fu siglato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima, con l’impegno a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Dopo la sfilata dei capi di Stato e degli alti funzionari dell’Onu di questi giorni, le delegazioni inizieranno a darsi da fare, ma, dato che una liturgia che si rispetti prevede passaggi consolidati e rituali, c’è già indicata una direzione da seguire: le nazioni occidentali devono aumentare i loro sforzi economici.
A tirare la volata è il presidente brasiliano Lula da Silva, seguito dai rappresentanti africani e caraibici, sollecitati dal lascito dell’uragano Melissa, che ha colpito soprattutto la Giamaica. I cattivi di turno, a questo giro più che mai, sono gli Stati Uniti, ripresi dal segretario generale dell’Onu, António Guterres, perché il loro presidente, Donald Trump, è un negazionista. Nella retorica dal sapore terzomondista mancano spesso cenni alla Cina – ma tutto fa parte della consolidata liturgia. Si può fare di più e meglio? Sempre, ma nel frattempo, nel 2024 (dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, Iea) gli investimenti in tecnologie e infrastrutture energetiche sostenibili hanno toccato 2 trilioni di dollari, il doppio rispetto a quelli stanziati per i combustibili fossili. Trecentosettanta miliardi di dollari sono arrivati dall’Europa, 315 dagli Usa: la quota più alta è quella cinese, con 675 miliardi, ma le cifre vanno interpretate. I ritorni di queste ingenti somme si vedono e – a dispetto della facile retorica – si respirano: dal 1990 al 2023 le emissioni di anidride carbonica nell’area europea sono crollate del 37%, secondo quanto riportato dall’Agenzia europea per l’ambiente. Nell’intervallo 2013-2023, in particolare, il calo è stato ancora più marcato, con elettricità più pulita, minor uso di combustibili fossili e una contrazione confermata anche nel 2024.
Negli Stati Uniti, dal 2005 a oggi le emissioni sono scese del 17,2%, come riportava un rapporto dello scorso anno redatto dal Rhodium Group, centro di analisi e ricerca indipendente; le emissioni nette di gas serra sono calate del 15% tra il 2005 e il 2021 (Center for Climate and Energy Solutions). Di contro, la Cina continua a rappresentare circa il 35% delle emissioni globali di anidride carbonica, sempre secondo la Iea: dal 2000 al 2022, le emissioni legate all’energia sono schizzate del 245%, spinte dall’uso intenso del carbone. Quanto all’India, tra il 2019 e il 2023 le emissioni da combustibili fossili sono cresciute in media dell’8% all’anno, nonostante il -7% registrato nel 2020 a causa della pandemia di Covid-19. Piangersi addosso perché non si fa mai abbastanza è un altro tratto tipico delle Cop: è facilmente preventivabile che la litania si ripeterà a Belém. Trovare un capro espiatorio negli Stati del Primo Mondo fa parte del pacchetto. Eppure, tra stanziamenti pubblici e importanti iniziative private, la complessa macchina della cosiddetta sostenibilità è in moto. Ma non sarà mai abbastanza: certe liturgie, per sopravvivere, hanno bisogno di autoalimentarsi. Se con energia pulita o meno, non è dato sapere.




