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Roman Abramovich, ecco come sta umiliando l'Europa: soldi e sanzioni, la verità che non vi raccontano

Carlo Nicolato
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Non solo Abramovich, il Tribunale dell'Unione Europa comunica che gli uomini d'affari che hanno fatto ricorso al blocco dei loro beni deciso da Bruxelles nei mesi scorsi sono più di venti e molti altri potrebbero seguire. Tra loro ci sono anche Mikhail Fridman, oligarca russo nato in Ucraina con un patrimonio stimato di oltre 12 miliardi di dollari, considerato molto vicino a Putin ma dichiaratamente contrario alla guerra, e il banchiere nonché politico russo Peter Aven il cui patrimonio è stimato in 4,4 miliardi di dollari. Le persone sanzionate direttamente dalla Ue sono oltre 1100 per un totale di 29,5 miliardi di euro, e il Tribunale Ue teme di dover far fronte a un'ondata di cause tali da bloccare o rallentare considerevolmente la normale amministrazione della corte stessa.

 

 


IL CASO MUBARAK
L'idea del ricorso peraltro non è campata per aria, altri prima degli oligarchi russi in questione hanno portato la Ue di fronte al giudice in situazioni simili e ne sono usciti vincitori. C'è il caso di Mubarak ad esempio, ma quello più vicino agli attuali per tematica e geografia riguarda l'ex presidente ucraino Viktor Yanukovich e altri sei politici e uomini d'affari ucraini filorussi ai quali la Ue, nel 2014, congelò i beni in quanto accusati di appropriazione di fondi pubblici e di violazione dei diritti umani. Dopo il ricorso al Tribunale suddetto i beni furono scongelati nel 2019 con una sentenza che ammetteva che la Ue «non ha dimostrato che i diritti» di Yanukovich e degli altri «sono stati rispettati nel procedimento penale».


Secondo uno studio del Parlamento europeo dal 2008 al 2015 l'Unione Europea ha perso circa due terzi delle impugnazioni legate alle sanzioni da essa comminate. Dal 2016 in poi le cose sono migliorate, nel senso che le cause vinte hanno superato quelle perse, ma resta comunque molto alto il numero di misure restrittive inflitte dalla Ue senza una base legale adeguata e, secondo lo stesso studio menzionato, nel 2017 i casi di sanzioni erano diventati il secondo argomento più comune del tribunale superando quelli relativi alla concorrenza. Il problema principale è che le sanzioni vengono decise dal Consiglio a livello politico facendo molto spesso affidamento sulle informazioni che arrivano dal Paese in questione o dai servizi segreti perlopiù statunitensi. Nel primo caso tali informazioni sono ovviamente interessate e spesso non supportate da prove inoppugnabili, nel secondo le prove non sono sempre utilizzabili a livello processuale per la natura stessa delle fonti. Gli Stati Uniti proteggono meglio da un punto di vista legale le loro sanzioni in quanto le fanno passare per misure giustificate dalla "sicurezza nazionale".

 

 

L'Europa non lo fa, anzi nel 2008 ha affidato ai suoi magistrati la giurisdizione sulle sanzioni spianando la strada agli eventuali ricorsi. La Ue dunque decide le misure restrittive a Bruxelles ma poi sono i tribunali del Lussemburgo che devono applicarle e nel caso difenderle, e non sempre la cosa funziona. Non basta dire «è vicino a Putin», bisogna anche che ci siano prove convincenti che su tale vicinanza, e soprattutto connivenza, la persona sanzionata abbia costruito la sua fortuna. E se poi davvero al blocco dei beni seguisse la confisca, utilizzando tali ricchezze «per la ricostruzione dell'Ucraina» come proposto dalla presidente della Commissione Von der Leyen, c'è il serio rischio che l'Unione Europea aggravi ulteriormente il suo record di cause perse.

 

 


GRANA CONFISCHE
L'eventuale confisca dei beni richiede infatti una base legale molto solida perché vada in porto senza sbandamenti e figuracce, e attualmente tale base non c'è. Anche Biden negli Stati Uniti ci sta pensando ma i legali della Casa Bianca gli hanno fatto capire che allo stato delle cose la confisca è praticamente impossibile. Da loro come da noi richiede indagini, un giudice che stabilisca con precisione che i beni sono stati ottenuti dai proventi di un crimine o attraverso il riciclaggio di denaro. Tutto questo può voler dire anni e non è detto che vada in porto. Negli Usa c'è il Patriot Act, adottato dopo dell'11 settembre, che ha creato un'eccezione limitata al divieto di confisca nei casi in cui gli Stati Uniti sono in guerra. Ma gli Stati Uniti non sono in guerra. E anche se il Congresso ha già approvato un disegno di legge in proposito, gli Usa volenti o nolenti dovranno rispettare il diritto internazionale. Anche l'Europa dovrà farlo e a tal proposito la Commissione sta provando un'altra strada per aggirarlo, introducendo la violazione delle misure restrittive all'elenco dei reati dell'Unione. In pratica il sanzionato che si impegna in "azioni o attività volte ad eludere, direttamente o indirettamente le misure restrittive, anche occultando beni" potrebbe essere in futuro sottoposto a confisca. All'oligarca che disattiva il sistema di identificazione automatica (AIS) di bordo potrà essere confiscato lo yacht? Ai giuristi l'ardua sentenza.

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