Quirinale, Giorgio Napolitano: "Quando dimettermi lo decido io. Non si parli di autoritarismo per fermare le riforme"
Decido io quando dimettermi. Giorgio Napolitano non si fa tirare per la giacca e mette in chiaro un punto: chi cerca di tirare per le lunghe le riforme nella speranza che il presidente della Repubblica si stanchi e lasci il Quirinale, si sbaglia di grosso. "Noto che si tende a omettere l'altra riserva da me più volte richiamata relativa alla sostenibilità dal punto di vista delle forze di un pesante carico di doveri e funzioni. E quest'ultima è una valutazione che appartiene solo a me stesso, sulla base di dati obiettivi che hanno a che vedere con la mia età a voi ben nota". Meglio, dunque, non esercitarsi in "premature e poco fondate ipotesi e previsioni" sull'ulteriore sua permanenza al Colle. Il presidente della Repubblica, nella tradizionale Cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare, precisa di essere "concentrato sull'oggi" per garantire la "continuità ai vertici dello Stato nella fase così impegnativa del semestre italiano di presidenza europea. A un esito positivo di questa fase - il suo invito - cooperiamo tutti nell'interesse nazionale". Grillo: "Napolitano peggio di Mussolini" - Sul capitolo riforme, per esempio, il Colle è chiaro. Sull'Italicum, il testo varato in prima lettura dalla Camera è "destinato ad essere ridiscusso con la massima attenzione per criteri ispiratori e verifiche di costituzionalità che possono indurre a concordare significative modifiche". Che Re Giorgio giochi un ruolo di primo piano non solo nella forma, ma anche nel merito è evidente a tutti. Tanto che Beppe Grillo sul suo blog si è spinto oltre accostando il Capo dello Stato al Duce: "Dalla vittoria alle politiche del 2013 del M5S stiamo assistendo a una Controriforma senza che vi sia stata una Riforma o un Martin Lutero, neppure Mussolini ebbe la sfacciataggine del trio NapolitanoRenzieBerlusconi". "Non si agitino spettri autoritari" - Accusa pesante, ma la mano di Napolitano sulle riforme c'è. Non a caso, il suo giudizio su quella del Senato e sull'operato del governo appare "politico": nel dibattito a Palazzo Madama, al di là delle contestazioni grilline, "non c'è stata improvvisazione né improvvida frettolosità". Come dire, basta polemiche, basta gridare alla dittatura: "Non si agitino spettri autoritari per determinare un nuovo nulla di fatto", ha ammonito il presidente. Il progetto di revisione della seconda parte della Costituzione, ha concluso il presidente, "è un impegno di cui il governo Renzi si è fatto iniziatore, su mandato dello stesso Parlamento, espressosi con le mozioni approvate a schiacciante maggioranza dalla Camera e dal Senato il 29 maggio 2013 e l'orizzonte, fu fin dall'inizio, quello della ricerca di un'ampia convergenza politica in Parlamento".