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Il silenzio dell'8 settembre: storia di un'Italia sconfitta

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Nel suo nuovo libro Gianni Oliva rilegge uno dei periodi più drammatici del nostro Novecento: "Dopo il 1945 si è fatta passare l'idea di una vittoria, sbagliata. E il ruolo degli intellettuali nel fascismo fu taciuto"

Giulio Bucchi
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L'Italia del silenzio. 8 settembre 1943 (Gianni Oliva, Mondadori 2013) è un saggio di Gianni Oliva che scompone e riesamina l'8 Settembre 1943, uno tra i capitoli più discussi della nostra storia. Abbiamo raggiunto lo storico piemontese per rivolgergli alcune domande.  Perché un nuovo volume su quella data?  "Sono passati settant'anni esatti e tra due anni si celebreranno i 70 dalla fine della guerra. Ecco, ho pensato fosse lecito affrontare di nuovo questo capitolo di storia italiana, spesso ricordato come momento di riscossa della patria".  Riscossa?  "L'Italia ha scatenato una guerra a fianco della Germania nazista. Terminato il conflitto, nel ricostruire il Paese, si è cercato di dare l'idea che la nazione fosse uscita vincitrice dalla II Guerra Mondiale, quando non fu così".  Si cercava una riabilitazione?  "Vede, il Fascismo è stato sì il primo regime totalitario, ma bisogna ricordare che ha anche goduto di un vasto consenso. D'altronde la forza di un totalitarismo non è solo la violenza, ma anche formazione ed informazione. Ed ecco entrare in scena un'intera classe dirigente fatta di docenti universitari, giornalisti, professionisti che diede un apporto rilevante al regime e che non pagò al termine della guerra. Per decenni, alla parola fascista, si associava il repubblichino, il volontario di Salò, dimenticando invece che fascisti erano stati anche gli intellettuali al seguito di Mussolini".  Quali le ripercussioni di questa "dimenticanza"?   "I massacri delle Foibe, l'esodo giuliano dalmata ma anche crimini commessi dai nostri soldati furono dimenticati poiché ricordavano la nostra sconfitta".  di Marco Petrelli

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