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Molestie sessuali, parla il pm Carlo Nordio: "Troppo facile andare in tv, le vittime devono denunciare"

Benedetta Vitetta
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"Da magistrato e da cittadino la risposta è semplice: chi subisce una violenza deve denunciare". A parlare a Il Giorno è Carlo Nordio, pm oggi in pensione dopo 40 anni di toga. Sul caso molestie sessuali che cosa sta succedendo? "C'è un intreccio perverso, una miscela esplosiva. Tutti possono scrivere su tutto in tempo reale; poi bisogna fare i conti con i difetti della natura umana e una mascolinità aggressiva; ma c'è anche un desiderio di pubblicità" racconta Nordio, "possibile che le molestie siano vere, altrettanto possibile che senza spesa e senza rischi si cerchino i riflettori su episodi che non possono essere verificati, dopo tanto tempo. Si fa prima sui giornali o nei talk show. Perché se denunci un innocente rischi la calunnia. Ma se vai in tv a raccontare genericamente i fatti, addirittura coperto dall'anonimato, al massimo incorri nella diffamazione. Nulla, alla fine. Perché passati tanti anni, non si può dimostrare che il fatto non sia vero". Il fatto è che a volte si preferisce evitare la denuncia perché il lui o il lei che l'hanno commessa sono persone potenti, come ad esempio il produttore Usa Weinstein, e hanno utilizzato il loro potere per compiere gli abusi: "La via della legalità" prosegue l'ex pubblico ministero, "può costare ma non c'è altra scelta. Si potrà perdere un'opportunità di lavoro. Però, è un rischio che si deve correre: se hai la disgrazia di imbatterti in un potente così pusillanime o degenerato da fare violenza o allungare le mani, non puoi pretendere di avere giustizia mantenendo amicizia e rapporti di lavoro". Magari, invece, non si denuncia per sfiducia nella giustizia: "Questo è un problema senz'altro, non solo in Italia dove i processi sono molto lenti ma in tutto il mondo. Perché la ricostruzione di questi reati nelle aule giudiziarie è molto difficile. Spesso si consumano senza lasciare tracce, senza testimoni. Ho fatto centinaia di processi per stupro in 40 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi erano situazioni di ambiguità, l'approccio all'inizio era consenziente, a un certo punto si trasformava».

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