Spesa, boom del falso a tavola: tarocchi sei piatti su dieci
Parmesan, ma anche Parmesão e Regianito. Cambozola, Zottarella, Romano Cheese. E poi Crisecco, Chianti Wine e perfino Genoa Salami. La galleria dei tarocchi italiani confezionati all' estero è letteralmente sconfinata. La maggior parte delle imitazioni si concentra negli Stati Uniti che restano la mecca del falso made in Italy a tavola, seguiti da Canada, Australia e Argentina che nell' ultimo decennio hanno scavalcato la Germania, costretta a rinunciare a decine di cloni delle eccellenze italiane a tavola, grazie alla protezione ottenuta in ambito comunitario dalle nostre Dop e Igp. A rilanciare l' allarme dell' italian sounding, è stata ancora una volta la Coldiretti che a Napoli ha organizzato per questo fine settimana un grande villaggio contadino, simile a quello allestito a Milano a settembre. Nel dossier «La tavola degli inganni», il più importante sindacato degli agricoltori ha raccolto tutti i casi clamorosi di imitazione del made in Italy alimentare, realizzati in giro per il mondo. Un business gigantesco, pari almeno a 60 miliardi di valore e circa 300mila posti di lavoro persi. Oltre ai cloni entrati purtroppo nelle abitudini alimentari di molti Paesi al di fuori dall' Europa - guidati da Parmesan, Crisecco e Cambozola - vi sono centinaia di casi in cui, preparazioni alimentari agghiaccianti sfruttano un assonanza grossolana per spacciarsi come vere eccellenze del Belpaese. È il caso ad esempio degli Spagheroni, un sugo piccante prodotta in Olanda e della Salsa Pomarola Argentina. Oppure della Morka-Della slovacca, che con il salume bolognese non ha nulla a che vedere, trattandosi di spaghetti al pomodoro in scatola. Diritto d'imitazione - Le varianti sul tema sono infinite e hanno in comune marchi e denominazioni di fantasia ma fortemente evocativi. E il fenomeno è più diffuso di quel che si possa immaginare. «L' Italia si accinge a raggiungere nel 2017 il record storico delle esportazioni agroalimentari con un valore superiore ai 40 miliardi di euro», spiega il numero uno della Coldiretti Roberto Moncalvo, «e potrebbe migliorare considerevolmente poiché sei prodotti alimentari di tipo italiano su dieci in vendita sul mercato internazionale sono il risultato dell' agropirateria che sul falso Made in Italy fattura 60 miliardi di euro nel mondo». Ma tutto questo non è solo il frutto della libera iniziativa degli imprenditori stranieri. Nei maggiori mercati mondiali dove si tarocca il made in Italy operano potenti lobby locali che rivendicano una specie di «diritto d' imitazione». È il caso ad esempio del Consortium for common food names americano, fondato da Errico Auricchio, che pretende di poter imitare legalmente tutte le nostre indicazioni geografiche, ritenendole «nomi comuni alimentari». E poi ci sono gli autotarocchi, come quelli confezionati, sempre negli States, da Citterio, Fratelli Beretta e Barilla che hanno aperto in terra americana grandi stabilimenti di produzione. Dove imitano di tutto: dalla bresaola al culatello. E producono maccheroni per i quali hanno chiesto - è il caso di Guido Barilla - il marchio ufficiale Made in Italy che il ministero dello Sviluppo economico si appresta a concedere. Scandali alimentari - Ma se è difficile che i campioni dei tarocchi riescano ad esportarli nel nostro Paese, è facile invece che sulle nostre tavole finiscano cibi realizzati con materie prime importate. Non sempre sicure e controllate come le nostre. Non a caso due italiani su tre, per la precisione il 68%, sono preoccupati dell' impatto sulla salute di quello che mangiano anche per il ripetersi degli scandali alimentari. Il dato emerge da una analisi Coldiretti/Ixè divulgata sempre ieri a Napoli. La fenomenologia è sconfinata. Si va dalla semplice alterazione delle etichette all' adulterazione, come l' utilizzo di polvere di latte vietata per i formaggi o all' olio di semi trattato con clorofilla spacciato per extravergine, fino alla sofisticazione come l' uso di perossido di benzoile per sbiancare la mozzarella, di anidride solforosa per rendere più rossa la carne. Un altro buco nero nella filiera che porta dal campo alla tavola è rapprerentato dai ristoranti. In uno su quattro, ad esempio, ci sono oliere fuorilegge che non rispettano l' obbligo del tappo antirabbocco. E quasi nessuno dichiara sul menù l' origine degli ingredienti. La cuococrazia è tutto fuorché trasparente.