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Coronavirus, boom di "strane polmoniti" a Codogno già a metà gennaio: il contagio va retrodatato?

Davide Locano
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Il focolaio a Codogno e dintorni scoperto con grosso ritardo? È questa la conclusione a cui, secondo quanto riportato da Repubblica in un decisivo retroscena, si trova "ormai a un passo" la task force di epidemiologi, ricercatori, forze dell'ordine e inquirenti al lavoro a Milano e dentro la zona rossa del contagio da coronavirus. L'ipotesi è che quel focolaio covasse "almeno dalla metà di gennaio". Una discrepanza clamorosa, se si pensa che l'emergenza è esplosa venerdì 21 febbraio. Secondo quanto riporta Repubblica, grazie a test genetici, mancano ormai pochi tasselli per arrivare a ricostruire il nesso tra "il principale epicentro dell'epidemia", individuato tra i dieci Comuni isolati nel Basso Lodigiano, e quello definito "secondario di Vo', nel Padovano. Leggi anche: Coronavirus, il paziente uno e le 36 ore di blackout Ma non solo. Crescono altri dubbi. Non solo quello sul "paziente zero", non individuato a una settimane dalla prima diagnosi all'ospedale di Codogno. Vacilla infatti anche l'ipotesi che il "paziente uno" sia il dipendente dell' Unilever di Casalpusterlengo. Si parla del 38enne di Castiglione, che ha diffuso il Covid-19 nell'ospedale del primo ricovero a Codogno e tra le persone che ha frequentato per giorni dopo essere stato infettato, al lavoro a facendo sport. Il punto principale, però, è che come detto l'emergenza coronavirus è vicino ad essere retrodatata dalla task-force di esperti. Come ricorda sempre Repubblica, dopo l'esplosione dell'emergenza tra Codogno, Castiglione d'Adda e Casalpusterlengo, i sanitari hanno ricollegato tra loro decine di pazienti, non solo anziani, che da metà gennaio "sono stati colpiti da strane polmoniti, febbri altissime e sindromi influenzali associate a inspiegabili complicanze". Si arriva poi al 20 febbraio, giorno in cui era stato accertato a Codogno il primo caso, il tutto grazie all'intuizione di una anestesista. Ma nel Basso Lodigiano, si apprende, già in gennaio c'era stato un boom, che non era passato inosservato, di influenze e polmoniti. Purtroppo nessun elemento previsto dai protocolli sanitari internazionali è riuscito a ricondurre questa serie di casi "a fattori estranei alla stagionalità". "Eravamo tutti convinti - dice a Repubblica Alberto Gandolfi, medico di base in quarantena a Codogno con vari assistiti infetti - che quelle polmoniti fossero favorite da freddo e assenza di pioggia. Rivelate dalle lastre, sono state curate con i consueti antibiotici". Adesso, ovviamente, il quadro è cambiato. E la verità si mostra dalle cartelle cliniche e dalle ricette farmaceutiche di tutti i pazienti della zona rossa, che per oltre un mese sono stati curati per influenze e polmoniti "normali". La maggior parte di loro è guarita, ma nel sangue sono rimaste tracce di Covid-19. La prova del fatto che l'emergenza-coronavirus era iniziata ancor prima che ce ne rendessimo conto.

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