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Milano, medico "salvato in strada da due angeli". Il miracolo, cosa la scienza non può spiegare

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Renato Farina
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Qualcuno li chiama miracoli. La loro caratteristica è di essere inaspettati, sono fiori nel deserto stralunato dove ci aggiriamo come uomini di paglia. Ed ecco riluce in uno sguardo, poi in un gesto, la gratuita bontà. La bontà? Questa parola è stata buttata via, l'ideologia comunista o cattolica o umanistica l'ha declassata a valore ipocrita per distrarre i bambini dalla grande causa del "bene". Ma siamo stanchi di stentoree imprese "per il bene della causa". Quella causa è troppo lontana dal cuore per bastare a restituirci la gioia della meraviglia. A pagina 65 delle cronache milanesi del Corriere della Sera di giovedì scorso giace intatta e strana una perla. Elisabetta Andreis ha scovato questa storia metropolitana. Nei giorni scorsi un medico in pensione, Giuliano Rovere, camminava con la sua bella barba di settantenne in una piazza di Milano molto frequentata, c'è la stazione della metro che prende il suonome, Wagner. È un istante lancinante. Infarto potente. Rovere si schianta a terra. Batte la faccia sull'asfalto, e c'è molto sangue.

 

 

PRONTO INTERVENTO
Si forma un crocchio di passanti. Non sono indifferenti, dieci telefoni chiamano l'ambulanza, ma sono inerti. Che fare? Un ragazzo si fa strada. Gira quell'omone, gli preme il petto, massaggio cardiaco. Dal bar "Carlino" lì davanti balza fuori con la sua divisa da cameriere di Milano, sempre pronto a portare in giro il cabaret coi caffè e i panini con il prosciutto, un altro ragazzo. Punta alle scale della metropolitana, salta i tornelli, il controllore gli grida «fermati, che fai», grida «emergenza», spacca la teca di vetro con il defibrillatore, in tre salti è lì accanto all'altro tipo svelto e giovane, mettono in azione questa macchinetta salvavita. Il cuore riprende il suo battito. La vita! Arriva l'ambulanza. Ne discende un giovane medico del pronto soccorso dell'Ospedale Sacco, sa come si fa, intuba il paziente, cerca di stabilizzarlo, rende il coma più profondo. Riconosce non dal volto imbrattato di sangue ma dalla croce bizantina bizantina posata sul petto che adesso si muove chi sia quell'uomo nelle mani sue e di quel crocifisso: è il migliore amico di suo padre durante cinquant' anni di studi e di professione invecchiando insieme. Gente di Comunione e Liberazione e di Russia cristiana, per intenderci. Ed io pure - che ora scrivo - conosco Giuliano Rovere, è stato primario radiologo nell'ospedale del mio paese in Brianza, ci si vede da una vita.

 

 

STEREOTIPI SMENTITI
Tutte coincidenze, tutte un caso? Tutto è fortuito nella vita, tranne il caso. Che ci facevano quei due ragazzi lì accanto a un uomo ormai morto? Secondo lo stereotipo sui giovani che è così comodo alimentare, avrebbero dovuto stare su una panchina o su un divano in catalessi a navigare tra giochini e social, magari per organizzare assembramenti finanziati dal reddito di cittadinanza. Invece puntuali come la morte (si dice così), sono arrivati con lei, prima un ragazzo che se n'è andato senza nome per la sua strada, e poi Alessandro, studente fuori sede che si mantiene come barista, e l'hanno messa in fuga. Tornerà, è scritto nel nostro destino. Ma come si fa a non vedere in tutto questo un segno? In quegli studenti -lavoratori il cinismo non si è seduto sul petto a schiacciare il desiderio di qualcosa di infinito e puro, aiutare chi cade anche se non lo conosci ma è tuo fratello. Non se lo sono imposto con la volontà, questo impeto è stato più forte dell'inerzia del nulla.

 

 

ULTIMO PIANO
È un periodo di massi che precipitano improvvisi schiacciando la vita dei popoli. Eppure tra le crepe passano raggi di luce che scaldano il cuore, non solo degli infartuati. Su Repubblica di alcuni giorni fa un luminare della chirurgia oncologica, laico dichiarato, ha fatto più o meno lo stesso discorso. Ha avuto salva la vita con sua moglie durante l'incendio della Torre del Moro, il grattacielo di diciotto piani consumato dalle fiamme in un istante. Lui abitava all'ultimo piano. Per la prima volta dopo anni, lui e la moglie non hanno passato la domenica pomeriggio a leggere e a chiacchierare nel quieto riposo festivo. Un caso. «Ma perché questo caso?» si era chiesto il dottor Lorenzo Spaggiari. Ed ecco, posta la domanda, un accenno di risposta all'enigma. Nella desolazione assoluta dell'appartamento ridotto a una fornace dove tutto è stato annientato e si è liquefatta la cassaforte, il chirurgo ritrova in una bustina di plastica assurdamente intatta ritrova «una piccola croce d'oro sparata fuori dal muro». Lucente. Ha confessato Spaggiari al cronista Giampaolo Visetti: «La mia fede con gli anni si è offuscata. Ma lasci che io possa pensare a un inspiegabile prodigio» (3 settembre, cronache di Milano). Eugenio Montale scrisse: "L'imprevisto/ è la sola speranza". Poi aggiunse: "Mami dicono/che è una stoltezza dirselo ("prima del viaggio", in Satura). Dicono sbagliato, direbbero Rovere, i due ragazzi di piazza Wagner, e Spaggiari. Forse non siamo soli nel nulla. 

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