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Meteo, "il mare di nuvole". Dolomiti, l'immagine che sconvolge l'Italia

Giordano Tedoldi
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Lo chiamano mare di nuvole, e non è meno incantevole del mare d’erba immaginato da Mogol per “Impressioni di settembre”, la canzone portata al successo dalla Premiata Forneria Marconi. Non è uno spettacolo nuovo per chi sale ai rifugi sulle Dolomiti. A valle si è invasi dalla bruma, ma salendo in quota ci si ritrova in mezzo a una coltre di nuvole compatte sotto un cielo terso, come la superficie di un mare placido e candido.

Il suggestivo spettacolo, avvistato con particolare evidenza la mattina del giorno di Santo Stefano a Col dei Dof e Cima Fertazza, tra Val di Zoldo, Val Fiorentina e Alleghe (Belluno), è provocato dalla inversione termica che determina il contrario di ciò che accade normalmente: l’aria più calda, dovuta al bel tempo e alle temperature particolarmente miti degli ultimi giorni, si è stabilizzata in alta quota, trattenendo l’aria fredda, densa e stagnante, più in basso: tra i due strati “invertiti” (aria calda sopra, aria fredda sotto) si estende il mare di nuvole, schiacciato come da due cuscinetti, e da qui il suo straordinario aspetto di una vasta pianura bianca, resa scintillante dai raggi del sole.

 

BELLEZZA SUBLIME

Questi strati di nubi a medie quote, perforati dalle cime così come le isole spuntano dal mare – a vedere le stupefacenti immagini, viene davvero alla mente quando con l’aereo si sorvolano, ad esempio, le Eolie - non deve preoccupare: ormai siamo talmente paranoici che ogni volta che la natura ci presenta un fenomeno inaspettato, per quanto meraviglioso, lo attribuiamo immancabilmente al surriscaldamento globale e ai micidiali gas serra. Ma l’inversione termica è un fenomeno che solo in parte (e in misura modesta) può essere causato, ad esempio, dall’inquinamento; le condizioni meteorologiche, come abbiamo detto, ne sono una causa determinante, ma non meno delle caratteristiche geografiche dei luoghi, e tanto il bellunese quanto le cime del Trentino, dove pure si è avuto il “mare di nuvole” sulle vette del gruppo della Paganella e sul Monte Panarotta, sono particolarmente favorevoli.

 

 

 

Quindi gli escursionisti, gli alpinisti, e chiunque abbia avuto la fortuna di godersi lo spettacolo, o voglia goderselo nei prossimi giorni (considerate le previsioni, potrebbe ripetersi), lo faccia senza scrupoli né sensi di colpa impropri. A volte, nonostante i nostri maltrattamenti che non risparmiano nemmeno la montagna, l’ambiente ci regala spettacoli di soprannaturale bellezza. Ad alcuni, il paesaggio, soprattutto nel Trentino, ha fatto pensare a come dovessero essere quei luoghi diecimila, quindicimila anni fa, quando le valli erano strette tra nella morsa dei ghiacciai e le montagne dovevano ergersi come isole, proprio come due giorni fa in mezzo al mare di nuvole.

D’altronde, qualsiasi illazione pessimistica circa il legame del fenomeno del “mare di nebbia” con le più nefaste conseguenze del cosiddetto “antropocene” (concetto del tutto destituito di ogni fondamento scientifico, ma assai di moda, che designerebbe l’epoca in cui l’uomo ha preso il sopravvento sulle altre forze della natura, incidendo più di loro sui processi geologici) viene smentita dalla storia dell’arte, e in particolare da un celeberrimo dipinto del 1818, quando l’industrializzazione era solo agli albori. Il quadro, che si può ammirare alla Kunsthalle di Amburgo, è “Viandante sul mare di nebbia” del pittore romantico Caspar David Friedrich.

Molti lo avranno ben presente: vi si vede, di spalle, una figura solitaria e dai capelli scompigliati, presumibilmente per via del vento e delle fatiche dell’ascesa, in piedi su uno sperone roccioso e con un bastone da passeggio. Davanti e quasi tutt’attorno a lui, poderoso, spesso, sublime, il “mare di nebbia” citato perfino nel titolo dell’opera. Un mare lacerato in alcune zone dalle cime frastagliate dei monti, e che si estende a perdita d’occhio sotto un cielo un po’ più scuro di quello avvistato dalle nostre parti, ma comunque abbastanza limpido. Il quadro di Friedrich è diventato subito popolarissimo, e lo si ritrova riprodotto in stampe, copertine di libri (moltissimi), oggetti vari, perché evidentemente suscita nell’animo dell’osservatore quel sentimento vertiginoso che Kant chiamava “il sublime”. Più bello il quadro nella pinacoteca o più bello ammirare lo spettacolo dal vivo, in alta quota? Antico dibattito a proposito del quale ci guardiamo bene dal prendere posizione. 

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