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Pioltello, la scuola chiusa è una resa: l'integrazione non si fa a colpi di emergenza

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Gianluigi Paragone
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Il problema non è solo la competenza sui calendari delle vacanze; la questione più profonda è il commento del preside della scuola di Pioltello sulle polemiche che sono seguite alla sua decisione di far festeggiare la fine del Ramadan a casa lontano da scuola. «Questa è l’Italia del futuro», ha commentato Alessandro Fanfoni, il capo dell’istituto per schermare la scuola dalla pioggia di dichiarazioni e ancor più, credo, per sostanziare la sua decisione davanti al ministero.

Non so se quella che ha in mente Fanfoni sarà davvero «l’Italia del futuro», anche perché sarebbe un problema. Mi spiego. Innanzitutto non credo che l’integrazione si realizzi a botte di spallate e quella del preside è una spallata: nel momento in cui ferma la scuola perché il grosso degli studenti è di fede islamica e quindi in coincidenza con la fine del Ramadan le classi si svuotano, il preside di fatto mette sullo stesso piano le feste cattoliche in calendario “bucando” quel patto tra Stato e Chiesa che fa parte dell’identità italiana. Non mi risulta alcun patto con l’islam. Nè potrebbe esserci. I genitori sono liberissimi di tenere a casa i propri figli per un giorno, anche due: firmano la giustificazione e nessuno avrebbe alcunché da obiettare.

 

CHE FARE CON LA LINGUA?
Al preside della scuola di Pioltello così sensibile alle ragioni della integrazione perché tanto «l’Italia del futuro è questa» domando se è a conoscenza della moltitudine di casi in cui le mamme degli alunni stranieri non parlano italiano e quindi non possono interloquire con gli insegnanti. Se va bene va il marito, altrimenti pazienza. Ovviamente, questa cosa, il preside la conosce benissimo perché è una costante della vita scolastica di tantissime scuole italiane soprattutto primarie, dove i programmi subiscono forti rallentamenti per la difficoltà dei ragazzi a ritrovarsi nella lingua italiana. Se tanto mi dà tanto, un preside potrebbe decidere di autorizzare in classe l’uso della lingua araba o cinese magari “assumendo” un insegnate di sostegno, perché la maggioranza è araba e fatica con l’italiano. La mia è una provocazione, ma lo è perché oltre alla lingua araba molti immigrati parlano i dialetti specie a casa; ancor più per i cinesi i quali non parlano il mandarino.

 

 

L’ITALIA CHE VERRÀ
L’Italia del domani sicuramente sarà contaminata da comunità straniere ma senza un equilibrio l’Italia del domani si rompe perché troppo fragile nelle sue linee fondamentali. Le città lo sappiamo bene - stanno crescendo senza piani omogenei, né da un punto di vista urbanistico né culturale: prevale sempre l’emergenza come linea guida. Lo strapotere di alcune comunità in aree delle città è avvenuto per occupazione e quindi per conquista. La comunità cinese ha fatto così: è cresciuta sotto i nostri occhi a tal punto da crearsi non uno ma più quartieri “chinatown”, facendosi forte dei numeri e delle assoluta dedizione al lavoro spesso anche ben oltre le regole sindacali con cui debbono fare i conti i negozi italiani. Lo stesso sta accadendo con i “latinos” o i marocchini e i tunisini.
Il metodo Pioltello non è un esempio di integrazione ma l’ennesima resa emergenziale ben verniciata di progressismo culturale che ovviamente la sinistra ha cavalcato come suo solito.

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