Garlasco, il gatto: uno dei più grandi misteri

Nella villetta non ci fu effrazione: Chiara Poggi fece entrare l’assassino o qualcuno aveva modo di aprire la porta? E Il felino lasciato girare fra le macchie di sangue? Tutto quel che ancora non torna
di Alessandro Dell'Ortovenerdì 23 maggio 2025
Garlasco, il gatto: uno dei più grandi misteri
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Quando Rita, Giuseppe e Marco, i genitori e il fratello di Chiara, hanno potuto scegliere- 255 giorni dopo il delitto di Garlasco -, sono stati determinati. La procura aveva dissequestrato l’abitazione, i carabinieri avevano tolto i sigilli dopo le lunghe (e piene di errori) indagini e loro, i familiari, avevano due opzioni: andare a vivere altrove (nel frattempo erano stati dalla nonna materna di Chiara) oppure tornare ad abitare proprio lì, nella villetta di via Pascoli, la casa della tragedia, convivendo con la scena del crimine e i ricordi della figlia uccisa brutalmente.

Quella dei Poggi è stata una scelta decisa, di coraggio, forza, determinazione: non hanno avuto dubbi e sono tornati a casa loro («Ci mancherà ancora di più - aveva spiegato la madre- Vivere di nuovo qui ci darà forza, è quello che volevamo e abbiamo chiesto tante volte. Ma porterà anche angoscia: in questa casa è morta Chiara») affrontando il dolore, gestendo le emozioni e riuscendo a ricostruirsi una vita. Tanto che ancora oggi, a distanza di 18 anni, i due genitori (il fratello nel frattempo si è trasferito in Veneto) continuano ad abitare in quella villa «perché qui c’è Chiara e non potevamo abbandonarla. Non abbiamo mai pensato nemmeno un minuto di trasferirci. Siamo venuti in questa villetta nel 1995, ormai sono più gli anni vissuti qui senza di lei di quelli in cui lei c’era», ha spiegato pochi mesi fa la signora Poggi, che non ha mai toccato niente nella cameretta della figlia lasciandola uguale a quel dannato 13 agosto 2007.

Già, la villetta di via Pascoli a Garlasco. Il luogo dell’omicidio - ma anche il teatro di tanta confusione nell’inchiesta -, una casa che ancora oggi, a distanza di tempo, conserva enigmi e nasconde verità perché, nella varie ricostruzioni e ipotesi, i punti che non sono stati mai chiariti sono tanti, sia nel lungo percorso giudiziario che ha portato alla condanna (16 anni) Alberto Stasi, l’ex fidanzato di Chiara, che nella nuova inchiesta che vede indagato Andrea Sempio, l’amico del fratello della vittima.

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FUMO E POSACENERE
L’argomento più caldo in questi giorni è quello delle impronte digitali. Sono 107 quelle contate nella casa, tra adesivi e fotografie, ma quelle rilette ora dagli esperti e considerate utili sono solo otto: una di queste (la famosa “33”) è riconducibile «al palmo della mano di Andrea Sempio» e si trova nella «seconda parete destra della scala ove è stato rinvenuto il corpo esanime della vittima», hanno spiegato i consulenti della procura. Delle rimanenti sette, una è di Stasi (mignolo della mano sinistra sul cartone della pizza mangiata la sera prima), tre sono di un falegname (che lavorava in casa) e tre non attribuibili.

Sempre su quel muro c’erano altre sei tracce “palmari”, mai identificate, ma perfino dalle nuove analisi non è stato possibile stabilire un’identità, anche se per esclusione si è capito che nessuna appartiene a Sempio, Alberto Stasi, alla famiglia Poggi, alla cugina Stefania Cappa o agli amici di Marco Poggi, il fratello della vittima, e cioè Alessandro Biasibetti, Roberto Freddi e Mattia Capra. Non solo. A non essere state identificate sono pure le tracce “digitali” trovate sulla superficie esterna e interna del portone di ingresso della villetta, cinque in tutto.

Il problema è che molte di queste impronte, nei giorni subito dopo l’omicidio, non sono state prese in considerazione e altre, purtroppo, sono state compromesse perché la scena del crimine è stata inquinata da carabinieri entrati senza calzari né guanti, da clamorose distrazioni (uno dei due gatti di casa Poggi è rimasto chiuso alcuni giorni nell’appartamento sotto sequestro potendo girare ovunque) e da sopralluoghi realizzati anche a distanza di settimane o mesi.
Tanti errori e tanta superficialità che non hanno permesso di risolvere o approfondire molti dei misteri legati alla villetta.
Come la questione del posacenere sporco di cenere, ma senza mozziconi, trovato nella cucina che aveva attirato la curiosità di Gian Luigi Tizzoni, avvocato della famiglia Poggi, ma non degli investigatori. Il legale, il 10 settembre 2007, aveva telefonato alla madre di Chiara chiedendo se la figlia o Alberto Stasi fumassero. La donna aveva risposto che no, in casa fumava soltanto il marito (ma in realtà anche Stefania Cappa, una delle due gemelle, la quale ai carabinieri ha poi raccontato che fumava in quella cucina quando andava a trovare Chiara) e, aveva aggiunto, le sembrava strano che, visto il tempo trascorso, sua figlia (che era a casa sola da una settimana) non lo avesse pulito. Come dire: e se l’assassino avesse fumato?

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I TELI DEL MARE
A proposito degli oggetti della casa di Garlasco, subito dopo il delitto gli investigatori, con l’aiuto della famiglia, hanno cercato di ricostruire cosa ci fosse in ogni stanza. E alla fine hanno scoperto che nella villetta mancavo tre cose: due teli da mare, che potrebbero essere stati usati dal killer per pulirsi e asciugarsi, e un martello levachiodi (a coda di rondine, possibile arma del delitto) che il padre teneva abitualmente sulla finestra del garage. Oggetti mai ritrovati in 18 anni, nemmeno nel canale di Tromello la scorsa settimana, dove invece è stata ripescata la testa di una mazzetta da muratore.

Impronte, arnesi spariti, tracce ignorate, ma anche un enigma che riguarda l’accesso alla villetta di via Pascoli. Secondo la ricostruzione che ha portato alla condanna di Stasi, la vittima avrebbe aperto la porta d’ingresso a una persona che lei conosceva e della quale si fidava, essendo in pigiama. Ma qualcuno, invece, prende in esame una pista alternativa: che Chiara sia stata presa di spalle a sorpresa, senza nemmeno accorgersene. Cioè da un assassino entrato in casa di nascosto senza il bisogno di forzare la serratura, ipotesi che porterebbe direttamente al mistero delle chiavi di casa. Esistevano dei doppioni? Quanti? L’unico accertato ufficialmente è quello che era a disposizione della famiglia Cappa durante quel periodo estivo: il mazzo solitamente usato da Marco, fratello di Chiara, con tre chiavi d’ingresso con telecomando e un portachiavi nero e rosso.

«Mio fratello Poggi Giuseppe - aveva spiegato ai carabinieri Rosa Poggi, la zia di Chiara e madre delle gemelle Cappa - come per ogni estate, all’atto della sua partenza per le vacanze, mi incarica di innaffiare le piante del giardino della propria abitazione. Per tale incombenze mi lascia in custodia le chiavi di accesso della villetta, cosa che ha fatto anche il 5 agosto 2007. Non ho mai provveduto a tale incombenza, in quanto era presente mia nipote Chiara». Queste chiavi - delle quali la gemella Paola aveva detto ai carabinieri di conoscerne l’esistenza e anche dove fossero tenute, mentre Stefania aveva spiegato di non saperne nulla - erano custodite nel comodino della camera dei genitori delle gemelle e quell’estate non sono mai state utilizzate. Ma resta un dubbio: e se non fossero state le uniche in giro?

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