L'ultimo delirio woke: "Nella guida Michelin razzismo culinario"

La Guida Michelin, bibbia della critica gastronomica? Macché, l’incarnazione del “razzismo culinario”. È questa l’ultima accusa delirante di alcuni accademici
di Mauro Zanonlunedì 9 giugno 2025
L'ultimo delirio woke: "Nella guida Michelin razzismo culinario"
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La Guida Michelin, bibbia della critica gastronomica? Macché, l’incarnazione del “razzismo culinario”. È questa l’ultima accusa delirante di alcuni accademici, tra cui Tulasi Srinivas, professoressa di antropologia, religione e studi transnazionali all’Emerson College di Boston, che accusano la celebra guida rossa francese, fondata nel 1900, di essere «razzista», «eurocentrica» ed «elitaria», perché escluderebbe «grandi porzioni del mondo» dal suo raggio di giudizio, a partire dalla zona africana e indiana. In un testo pubblicato su The Conversation, Srinivas sostiene che mentre una certa parte del mondo cultural-gastronomico ha intrapreso la strada della «decolonizzazione del cibo» (sic!), la Guida Michelin va nel senso opposto. «Nonostante un movimento di decolonizzazione del cibo, che mette in discussione l’eredità coloniale e i modelli di consumo estrattivi, la Michelin ha costruito la sua eccellente reputazione principalmente sulla cucina metropolitana europea», ha scritto l’antropologa.

La professoressa dell’Emersone College accusa la guida francese di essere «per natura elitaria» e di celebrare pratiche gastronomiche europee «oscure», come la «gastronomia molecolare» della Spagna. Ma si spinge ancora più lontano: arrivando a puntare il dito contro un piatto iconico della cucina francese come il boeuf bourguignon, che secondo Srinivas è «un po’ razzista». «Non esiste la Guida Michelin in India, una delle cucine più prestigiose e antiche del mondo, o in Africa, con la sua molteplicità di sapori culturali. Forse c’è un po’ di razzismo nel boeuf bourguignon», ha scritto l’antropologa.

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Un’altra ricercatrice, Zeena Feldman, docente di cultura digitale al King’s College di Londra, ha confrontato le recensioni dei food influencer sui social con quelle della Michelin, giungendo alla conclusione che le prime darebbero voce a «cucine sottorappresentate» provenienti da diverse parti del mondo a differenza della guida gastronomica francese, e che dunque sarebbero più affidabili. «Culturalmente ed economicamente, la critica gastronomica di Instagram è molto più inclusiva di quella della Guida», afferma Feldman.
Chris Watson, ex ispettore della Guida Michelin, ha respinto le accuse di razzismo. «La guida ha introdotto il premio “Bib Gourmand”, che rappresenta l’esperienza gastronomica con un buon rapporto qualità-prezzo, e attualmente ce ne sono più di 3.200 in tutte le Guide Michelin del mondo», ha dichiarato al Telegraph Watson, prima di aggiungere: «Ha anche introdotto la stella verde, nel 2020, per celebrare i ristoranti che utilizzano il 100% di ingredienti locali, tutt’altro che elitari. E ci sono una moltitudine di ristoranti indiani in tutto il mondo che sono stati premiati con le stelle. Non è certo razzista».

Al Telegraph, un portavoce della guida ha reagito con queste parole all’attacco degli accademici: «La Guida Michelin valuta tutte le cucine secondo cinque criteri universali, senza quote o favoritismi eurocentrici. La sua espansione al di fuori dell’Europa significa che ora è presente in più di 60 destinazioni in tutto il mondo, dal Messico alla Thailandia, al Brasile e alla Turchia. La Guida celebra la ricchezza e la diversità delle culture culinarie presentando più di 200 stili di cucina, frutto di rigorosi controlli effettuati da ispettori di oltre 30 nazionalità». Non basterà a placare l’offensiva dei wokisti, che, per citare Ennio Flaiano, continuano ogni giorno a spostare la soglia del ridicolo.

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