Il blitz del militare per riprendersi il figlio portato in Romania dalla ex

di Claudia Osmettimartedì 26 agosto 2025
Il blitz del militare per riprendersi il figlio portato in Romania dalla ex

4' di lettura

Un’operazione in perfetto stile militare, con tanto di nome evocativo: “missione Gardaland”. Un po’ film d’azione, un po’ spy story, un po’ (soprattutto) cuore di papà che non si rassegna a stare lontano dal suo piccoletto portato (rapito) dalla ex in Romania senza il suo consenso. È una vicenda a lieto fine quella di Nicholas C. DauSchmidt, che fino a poco tempo fa faceva l’ufficiale nell’esercito Usa di stanza a Vicenza, e che adesso, dopo questo blitz senza frontiere, ha deciso di rifarsi una vita in Veneto, di togliere l’uniforme e di dare una mano ai tanti padri che stanno vivendo la sua stessa (drammatica) situazione.

Lui ce l’ha fatta, lui ne è uscito: è l’esempio vivente che la sottrazione internazionale di minori (c’è pure un nome che la definisce, un nome codificato nel diritto: e già questo dà la dimensione del fenomeno) è un problema serio, serissimo, spesso sottovalutato, ma è anche un’ingiustizia che si può risolvere. Guardalo lì, adesso, col suo Henry, tra una corsa in bicicletta, con la tivù accesa mentre danno i Pokémon e l’interesse per i dinosauri, assieme alla sua nuova compagna, Veronica, con cui è riuscito a ricostruirsi un’esistenza. «Resterò in Italia», racconta al quotidiano Il Gazzettino che spiega nei dettagli ciò che gli è successo, «per aiutare i genitori che vivranno l’incubo che ho vissuto io».

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Un incubo da cui DauSchmidt ne è venuto fuori con un team di avvocati italo-americani e rumeni, con un detective, un aereo privato e un istruttore di volo, soprattutto con la forza e la determinazione e la tenacia che si imparano sotto le armi e che non si dimenticano più. Costi quel che costi, serva a quel che serva. Aveva appena quattro anni, Henry, nel 2020, quando il babbo e la mamma (lui statunitense, lei rumeno-americana) decidono di separarsi. All’inizio sembra senza complicazioni, legalmente sono ancora sposati nell’Indiana (Stato nel quale, tra l’altro, DauSchmidt è abilitato alla professione forense), «avremmo dovuto tornare negli Stati Uniti una volta ottenuta la mia promozione per separarci definitivamente».

Invece qualcosa va storto e, all’improvviso, tutto precipita: DauSchmidt viene accusato dalla ex che chiede a un tribunale italiano l’affidamento esclusivo di Henry. Inizia una battaglia penale che non porterà a nulla (anzi, quando il giudice chiederà a uno psicologo forense di vagliare il suo faldone inizierà a venire a galla la verità), ma inizia soprattutto una china discendente. La donna ha con sè i tre passaporti del bambino e il 9 giugno del 2024 lo carica su un’auto, guida fino a Bucarest e non torna più indietro. DauSchmidt è disperato. Riesce a parlare con Henry solo tramite internet, qualche videochiamata, a ogni squillo lo sente più lontano. C’è un’ordinanza del tribunale che ora gli assegna (è il paradosso) l’affidamento esclusivo, ma un conto sono le carte bollate (le uniche, per carità, che fanno giurisprudenza) e un altro è sentire tuo figlio dire, sullo schermo di un telefonino collegato a Whatsapp, da 1.500 chilometri, tu-non-sei-mio-padre. Ti cade il mondo addosso. Resti pietrificato, annientato. Oppure fai come DauSchmidt, prendi in mano la tua vita.

«La legge rumena non prevede il rimpatrio dei bambini rapiti, impone solo una multa pecuniaria», il che è un ostacolo non di poco conto. Lo è se vuoi agire nel rispetto delle regole perché è la sola garanzia di star facendo la cosa giusta. Allora chiami un investigatore privato come Fabrizio Donvito, che riesce ad avere ogni genere di informazioni. Contatti l’istruttore di volo di quando eri nell’esercito, Giorgio, e un veterano britannico come Jay. Li metti tutti seduti a un tavolo, spieghi “il piano”. “Gardaland” è il parco divertimenti preferito da Henry, tre, due, uno.

C’è chi sorveglia, ci sono «un’auto di fuga e un piccolo aereo a quattro posti che vola da Thiene a Bucarest», ci sono otto giorni per fare tutto evitando «le forze dell’ordine» perché se ti fermano (come è quasi successo) potrebbe saltare ogni cosa dato che «anche se hai il pieno diritto legale, nei Paesi che non restituiscono i bambini sottratti la polizia li riconsegna al genitore che lo ha portato via». Fila tutto liscio, per fortuna. Fila che l’operazione di DauSchmidt viene convalidata dal tribunale italiano e da quello rumeno e pure dal Cid, che è il Criminal investigation command dell’Army Usa: «Senza alcun aiuto delle istituzioni o dei governi, solo grazie all’azione di individui straordinari, io e mio foglio ci siamo ritrovati in piscina insieme, in Italia», chiosa questo babbo risoluto come pochi che ora, dato che secondo le ultime statistiche disponibili (del 2020) sono circa 180 i casi analoghi che ogni anno vengono segnalati alla giustizia italiana, ha scelto di mettersi al servizio degli altri.

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