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Per le femministe Barbie è patriarcato

Per Carla Giuzzi è "un modello di donna che è alla base della violenza di genere in quanto vista solo come 'un oggetto' da possedere"
di Annalisa Terranovasabato 13 dicembre 2025
Per le femministe Barbie è patriarcato

3' di lettura

È polemica ad Arcore per la mostra Le Donne 500 fashion Barbie Dolls, voluta a Villa Borromeo dall'amministrazione comunale guidata da Maurizio Bono a chiusura del mese di novembre dedicato al contrasto alla violenza di genere. L'iniziativa è stata criticata da Carla Giuzzi, responsabile diritti della segreteria provinciale di Sinistra Italiana, per la quale la bambola Barbie non è adatta per spiegare il percorso di emancipazione delle donne e rappresenta «un modello di donna che è alla base della violenza di genere in quanto vista solo come “un oggetto” da possedere». Ancora, per la Giuzzi, l'aspetto fisico di Barbie «ha condizionato generazioni di bambine a seguire il modello di donna stereotipato che veicolava e non è bastato vestirla da scienziata, poliziotta o pilota d'aereo».

Dunque se la bambina gioca col bambolotto-figlio le si inculca un ruolo imposto dal patriarcato ma avviene lo stesso se gioca con la Barbie e si sente incline alla frivolezza. Ovviamente queste sono le elucubrazioni mentali del neofemminismo ideologico e lontano dalla realtà, perché in tutto il mondo Barbie è un'icona celebrata e ammirata e il recente film a lei dedicato è stato anche letto come un messaggio femminista sia pure in chiave soft. Non solo la bambola, anche il colore rosa è visto dalle femministe come fumo negli occhi. Quando nel 2013 fu inaugurata a Berlino la Dreamhouse, la casa di Barbie a grandezza naturale che aveva già debuttato in Florida, le femministe che coniarono lo slogan: «Il rosa puzza».

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Puzzava la rosa, secondo loro, e puzzava anche Barbie. Troppo bella, troppo perfetta e troppo bionda. Barbie sarebbe troppo sexy, una proiezione giocattolo della donna-oggetto, colleziona troppi vestiti e le ragazzine che giocano con lei pensano che il compito di una femmina sia solo quello di piacere, divertirsi, fare shopping e cambiarsi spesso d'abito. Ma il top degli argomenti contro Barbie fu raggiunto dal gruppo “Pinkstinks” la cui fondatrice spiegò che Barbie veicolava la cultura nazista. In pratica, era una bambola troppo “ariana”. Così a Berlino le femministe convenute all'appuntamento di Occupy Dreamhouse bruciarono la povera Barbie fonte di ogni nefandezza.

Eppure femministe come Alida Brill hanno fatto notare che le bambine giocando con la Barbie non pensavano più che il loro destino da grandi fosse quello di dare il biberon a neonati con le gote rigonfie come i bambolotti che portava Babbo Natale. Tra l'altro il rosa non meriterebbe, di suo, tutto questo sdegno: più che risultare come discriminante di genere, infatti, è il risultato dell'annacquamento del rosso, il colore dell'amore e della passione, il colore con cui ci ci si sposava nel Medioevo prima che il più rassicurante bianco giungesse a dominare le cerimonie nuziali. Tuttavia, questo livore delle femministe nostrane, o meglio delle donne di sinistra italiane, contro la bambola Barbie è roba antica e ormai anche un po' antiquata. Tre anni fa fu Laura Boldrini a sconsigliare di dare una barbie in mano alle bambine e così anche per le odiose pentoline che relegherebbero le future donne adulte accanto ai focolari patriarcali. Meglio fare giocare le bambine col meccano...

In realtà sotto spunta sempre la voglia di indottrinare, instradare, inculcare qualche modello ai piccoli, frustrandone la creatività come se un bambino o una bambina fossero obbligati a confrontarsi già in tenera età con gli “stereotipi di genere”. Ma lasciamoli divertire in pace, ci sarebbe da dire a tutti questi censori del giocattolo. Quanto alle barbie sono bambole da museo ormai da tempo. E se Arcore arriva oggi con la sua mostra il piccolo Comune romano di Zagarolo già dal 2000 aveva dedicato uno spazio del suo museo del giocattolo alle Barbie da collezione. Che restano sempre le più fotografate.

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